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Stiamo tirando le somme in questi giorni, in cui il periodo del primo lockdown sembra abbastanza lontano per trarre delle conclusioni di massima sulla storia dei consumi.

La domanda numero uno, quando si parla di eBook, è sempre stata: ma la gente si abituerà al nuovo supporto?

Non rimarrà viva una forma di predilezione nostalgica per le pagine fruscianti, profumate di stampa fresca?

Ebbene, la risposta che ci ha dato questo periodo di reclusione forzata è: forse no.

Lo dimostra chiaramente il caso Bruno Editore.

Il caso Bruno Editore

Come riporta l’Ansa, l’editore ha fatturato un 202% in più per la vendita di libri elettronici. Dai libri sulla crescita personale, a quelli tecnici, alla narrativa: quello sopra riportato è il dato delle vendite dei primi nove mesi del 2020, comparato allo stesso periodo nel 2019. 

Un crescita che lascia molto su cui riflettere, anche se, dal mio punto di vista, sarebbe più interessante vedere il tipo di titoli che vengono venduti. Personalmente, ritengo l’ebook un ottimo strumento, sicuramente più ecologico, anche se sussistono diversi dubbi circa lo smaltimento e l’approvvigionamento di risorse.

Ma non sono un esperto, per carità. Quel che conta però è anche l’esperienza unica e ineliminabile del lettore: per me, il libro è prima di tutto cartaceo. Il libro è un oggetto, che viene depositato su uno scaffale e lasciato lì. Un oggetto che accompagna la vita quotidiana, o lo studio, che ricorda momenti dell’infanzia o della prima giovinezza, o degli apici ideologici di qualche settimana prima.

Il processo di digitalizzazione del libro

Insomma, l’avvento dell’ebook, oltre a una rinnovata passione per alcuni temi abbandonati dalla filosofia e prima monopolizzati dalla religione (ad esempio, la crescita personale), significa proprio un’esperienza di fruizione diversa.

Forse i libri cesseranno di essere uno status. Chi della mia generazione non ha vissuto cosa significa “avere una biblioteca a casa”?

Forse la lettura dei libri diventerà quello che dovrebbe essere: una eco sulla persona, un positivo ritorno della lettura in tutti gli aspetti della vita.

Non sto dicendo che con il libro cartaceo non fosse così, e non sto dicendo che mi omologherò a questa tendenza.

Però, forse, stiamo assistendo a un vero e proprio ripensamento del concetto di crescita personale.

Spero di assistervi.

 

Immaginavo che prima o poi nel bel mezzo di queste peregrinazini normative qualcuno avrebbe alzato pacatamente le antenne, chiedendosi: ma dove sta andando a parare?

In un blog che si occupa di cultura, ha in effetti senso chiedersi che ruolo abbia il giornalismo… Sì, ha senso, ma in termini diffusivi più che sostanziali. Il giornalismo, e il radiogiornalismo, stanno però alla diffusione della cultura, spesso, come il volantino sta al successo del locale notturno. Qualcuno si fermerà per provare il coktail più insolito millantato da quei quadratini di carta sempre più centimetrici che distribuiscono nelle zone della movida. Ma quanti, dico, quanti almeno che non frequentano già quell’intorno, andranno effettivamente nel bar pubblicizzato dal quadratino suddetto? Io potrei riferirmi a una fascia d’età che paradossalmente è più avulsa dalle logiche della carta stampata con intenti pubblicitari. Noi persone della mia età, diceva sempre un mio conoscente di una ventina d’anni meno attempato, tendiamo a spregiare la carta in una iper-correzione dovuta al nostro volerci omologare al digitale. Come a dire, non siamo digitalizzati a sufficienza, e vogliamo mostrare di esserlo. O meglio, direi io, come diceva Baricco parlando della barbarie: siamo profondi come istanze di base. Ci avviciniamo quindi alla digitalizzazione con la nostra abituale profondità, e vediamo il cubetto di carta come obsoleto, vintage. Invece dovremmo con la volatilità rapida dei “giovani” afferrare il volantino, cercarci la suggestione visiva e la promozione, come gli esseri umani ancora fanno con le immagini anche fisse.

Comunque, è fatta e rifuggo il giornalismo e il radiogiornalismo. Non penso che la promozione culturale possa passare solo da lì. Penso però che se parliamo di sovvenzioni statali, sia un OBBLIGO parlare dell’editoria in senso ampio. I libri, le case editrici. Quelle buone, che ancora cercano di riportare il classico sotto la migliore luce, quelle che ospitano i contemporanei quanto basta per non curarli troppo. Che su questi contemporanei attuano un lavoro di selezione professionale, e non emotivista. Io vorrei uno Stato che finanzi le opere d’arte buone, ben fatte, professionali. Anche se il criterio è difficile da trovare, ma penso che potrei proporre qualche buon nome per una ipotetica giuria. Per ora, tutto questo è utopia. Pura.

Ho trovato una tabellina relativa all’anno 2013. La tabellina compara l’IVA applicata sui beni di consumo, e quella applicata sulla stampa. Questo in diversi Paesi europei, il che ci dà uno sguardo d’insieme sulla questione:

(Fonte)

Parliamo di 6 anni trascorsi dal 2013, quindi è chiaro che non è mia intenzione fare un’analisi comparativa attuale. Però questa disparità, tra una Norvegia con l’IVA al 25%, che sgrava completamente l’editoria, e l’Austria che la dimezza soltanto, è abbastanza evidente. Potremmo dire che come l’Italia molti altri Stati si comportano nei confronti dell’editoria più come finanziatori indiretti che diretti.

Dei Paesi sovra-citati 10 applicano anche sussidi diretti, sempre secondo la relazione del briefing che ho preso in considerazione. 8 invece non li applicano.

E’ interessante vedere in questo articolo quanti Paesi applichino il supporto selettivo all’editoria. Quello che ho descritto altrove come spinoso problema, è percepito ovviamente come tale non solo dall’Italia.

Ora che abbiamo visto come l’Italia non sia troppo discosta da una media piuttosto variegata, vorrei aggiungere proprio due battute sulla selettività di contenuto. Innanzi tutto, invocare la censura di Stato è fuori luogo. Ma anche, elargire prebende.

Ho espresso in questi tre interventi il quadro logico che grossomodo mi sono fatto in merito alla questione. Spero che la mia decisione di semplificazione massima serva a chi ancora non conosceva il problema, e ora forse lo vede.

Alla prossima!