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La Borsa di Milano, cuore pulsante della finanza italiana, ha sede nel Palazzo Mezzanotte, sito in piazza degli Affari.

L’edificio, oggi conosciuto come, il Palazzo della Borsa è stato costruito a partire dal 1929 con lo scopo di concentrare tutte le attività borsistiche milanesi in un solo luogo, infatti la struttura si estende per un totale di 6450 m² e fu inaugurato nell’ottobre del 1932.

Fu un palazzo all’avanguardia per l’epoca in Italia: fu il primo a prevedere l’esecuzione automatica delle chiamate simultanee degli ascensori, aveva un sistema di condizionamento dell’aria funzionante con acqua e vapore ed ospitava il più grande quadro luminoso elettrico d’Italia che permetteva la visione della quotazione in tempo reale dei 78 titoli ammessi alla Borsa di Milano.

Finanza fisica: le dimensioni del Palazzo della Borsa

La facciata dell’edificio è monumentale, alta 36 metri rispecchia lo stile dell’epoca anche se ha voluto mantenere un’impostazione classica; fu costruita in blocchi di marmo travertino e ospita sculture di Leone Lodi e Geminiano Cibau.

All’interno del palazzo, la sala più importante è la grande sala delle grida, luogo dove si eseguivano le contrattazioni “a chiamata” illuminata dall’alto attraverso un grande velario raffigurante la volta celeste e le sue costellazioni.

A partire dall’inizio degli anni novanta il mercato borsistico italiano ha interrotto le contrattazioni azionarie con le aste a chiamata, dando l’avvio all’informatizzazione degli scambi tramite sistema telematico vedendo un progressivo abbandono della Borsa “gridata”.

Oggi, dove si svolgevano le contrattazioni, è presente un centro congressi, realizzato e gestito da Piazza Affari Gestione e Servizi Spa, società del gruppo Borsa Italiana, che può ospitare oltre 600 persone tra lo storico Parterre, le Sale Convegni nell’Underground, la Training Room, gli spazi di incontro e di ricreazione.

La sede reale della finanza italiana, uno dei luoghi fondamentali della Milano Capitale economica.

Il Palazzo di Giustizia di Milano, in cui ha sede il Tribunale, è un edificio storico costruito tra il 1932 e il 1940 sotto la direzione dell’architetto Marcello Piacentini.

Per la sua costruzione, in stile razionalista monumentale, furono abbattute la chiesa di San Filippo Neri e il convento delle Schiave di Maria che sorgevano in quell’area.

Il Palazzo internamente fu decorato con diversi mosaici, altorilievi, affreschi e sculture che, ispirate alla tradizione artistica romana, dovevano illustrare la storia della produttiva giurisprudenza latina.

La giustizia passa da Milano

Imponenti frasi latine riguardanti i principi della Giurisprudenza dominano l’ingresso principale e i due avancorpi sulla facciata principale.

Al sommo dell’Avancorpo di sinistra:

“Iurisprudentia est divinarum atque humanarum / rerum notitia iusti atque iniusti scientia”
“La Giurisprudenza è la scienza degli affari divini e umani, dei fatti giusti e ingiusti”

Al sommo dell’Ingresso principale:

“IUSTITIA / Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere / alterum non laedere, suum cuique tribuere”
“GIUSTIZIA / I precetti del diritto sono questi: vivere onestamente / non ledere l’Altro, attribuire a ciascuno il suo”

Al sommo dell’Avancorpo di destra:

“Sumus ad iustitiam nati neque opinione / sed natura constitutum est ius”
“Siamo chiamati alla giustizia fin da quando siamo nati e sulla natura si fonda il diritto, non sull’opinione”

L’atmosfera severa e monumentale è ciò che caratterizza questo luogo della giustizia italiana, un eccellente caposaldo della Milano capitale.

Milano da visitare è certamente il Pirelli HangarBicocca, un luogo dinamico di sperimentazione e ricerca, con i suoi 15.000 mq è tra gli spazi espositivi più grandi d’Europa.

L’Hangar consente di visitare ogni anno importanti mostre personali di artisti italiani e internazionali.

Ogni progetto espositivo viene concepito in stretta relazione con l’architettura dell’edificio ed è accompagnato da un programma di eventi molto interessante.

La struttura, un tempo sede di una fabbrica per la costruzione di locomotive, comprende un’area dedicata ai servizi al pubblico e alle attività didattiche e tre spazi espositivi caratterizzati dalla presenza a vista degli elementi architettonici originali.

Pirelli HangarBicocca è un progetto di respiro internazionale un processo evolutivo per la cultura della città volta alla ricerca, all’innovazione e alla diffusione dei linguaggi contemporanei.

“impegnatevi, superatevi, siate felici”

Tra i tanti modi di fare gli auguri per il nuovo anno, ho scelto queste parole.

Paolo Giorgio Bassi

Approvazione del bilancio 2014, mandato rinnovato all’Amministratore Delegato Ettore Morace e nuova nomina di Paolo Giorgio Bassi Presidente.

Decisioni di indirizzo che sono da annoverare fra i principali risultati dell’ultima assemblea dei soci di Compagnia italiana di navigazione – Tirrenia.

Una doverosa nota aggiuntiva è l’ingresso nel Cda di Emiliano Nitti.

Cifre e volumi per avviare il nuovo corso di Paolo Giorgio Bassi Presidente

L’assemblea è stata anche l’occasione per fare il punto della situazione sui numeri dello scorso anno. Nello specifico sono stati misurati 1,9 milioni di passeggeri imbarcati e 3,6 milioni di metri lineari di mezzi commerciali.

Dati che rappresentano un’ulteriore crescita dei volumi rispetto al 2012. Dall’anno del passaggio di Tirrenia a Cin, l’incremento è stato del +10,8% per il settore passeggeri. Numeri importanti confermati da un +16,2% per i metri lineari e dal fatturato in crescita del 6%.

Ulteriori aggiornamenti sulla vicenda appaiono su diverse agenzie e testate giornalistiche online, fra le quali: Agenzia Ansa, Quotidiano.net, Olbia Notizie, Sassari NotizieLa Gazzetta Marittima, InforMarePazzoperilmare, Informazioni Marittime.

Il giudizio sugli effetti del Jobs Act è ancora “prematuro” per farlo, tuttavia si registrano segnali positivi per quanto attiene l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato nel secondo trimestre del 2015, probabilmente anche a causa dei consistenti sgravi fiscali.

In sintesi questa è la dichiarazione del Governatore della Banca d’Italia rilasciata qualche giorno fa.

Il mercato del lavoro sembra segnare una debole ripresa, i meccanismi di sostegno del reddito dei disoccupati e i nuovi contratti a tempo indeterminato sembrano aver offerto più respiro all’economia.

Una valutazione sugli effetti dei provvedimenti del governo è prematura anche se qualche minimo segnale positivo occorre registrarlo.

Bisogna continuare a riformare il Paese affinchè la ripresa dell’occupazione dia segnali consolidati verso forme più stabili.

Paolo Giorgio Bassi incendio Milano

Alcuni si sono tanto allarmati da raggiungermi telefonicamente, il motivo è semplice quanto in alcuni aspetti comico.

Per un equivoco che sembra più frutto di un giudizio affrettato che il rinvio ad una più equilibrata riflessione,  nell’ascoltare la notizia dell’incendio occorso qualche ora fa a Milano, distrattamente si è confusa la frase “incendio in abitazione in via Paolo Bassi” in “Incendio all’abitazione di Paolo Bassi”.

Molti gli organi di stampa che hanno diffuso la notizia 123 , che fortunatamente mi vede estraneo spettatore.

Robert Coen economista ed esperto di investimenti e sviluppo, lo aveva previsto nel 2000:

“L’Europa subirà un calo della competitività a livello mondiale per l’arrivo dei nuovi Paesi emergenti”.

Il consiglio di Robert Coen

I Paesi che appartengono all’Unione Europea, si leggeva nel suo studio:

“devono rafforzare le loro politiche di bilancio e condurre con più rigore il risanamento dei conti mentre devono accelerare sulla strada delle riforme istituzionali“.

Un invito per anni disatteso e che ha portato una crisi economica dalle grandi proporzioni.

Oggi possiamo superare la crisi con forti investimenti nelle infrastrutture.

Lo scopo? Ottenere uno sviluppo industriale capace di aumentare la competitività e le esportazioni.

Conversazione con Laura Gherardi: Il banchiere privato

Paolo Bassi. Dopo il liceo, qui a Milano, sono partito per Trento per studiare Sociologia. In quegli anni – era il 1968 – Trento era una comunità universitaria in fermento dentro una città ostile, molto conservatrice.

Una città diversa da Roma, Milano e Torino, e Sociologia era una novità per l’Italia. Lo stesso movimento degli studenti era molto internazionale, collegato con gli studenti berlinesi e francofortesi, in larga parte allievi di Adorno.

Poi, dopo un paio di anni, il movimento è caduto in un degrado assoluto, con diverse frange combattenti a disputarsene le spoglie. E così mi sono messo in movimento e ho deciso di girovagare per le università europee, un girovagare fisico e intellettuale che è durato tre anni, mantenendomi con piccoli lavori e con periodici ritorni a Trento per seguire i corsi che reputavo utili o interessanti e per fare gli esami.

Poi si è laureato e ha iniziato a lavorare nella consulenza…

P.B. Alla LSE avevo conosciuto un professore che lavorava nella consulenza in Italia, ed è stato lui che mi ha introdotto alla società di Pietro Gennaro, a quel tempo il “guru” della consulenza aziendale. Lì ho trovato il mio filo conduttore.

Pietro Gennaro è stato uno dei fondatori della consulenza strategica in Italia, trasferiva il sapere americano nelle aziende italiane, che erano ancora le aziende delle grandi famiglie. In questo campo potevo esprimere una parte di me che nei contesti a cui ero abituato era sacrificata e, nello stesso tempo, materie come la psicologia e l’antropologia mi erano estremamente utili. I miei colleghi, invece, avevano una conoscenza specialistica, venivano per lo più da economia, dalla Bocconi.

Le cose tecniche si imparano presto, ma nella consulenza serve una formazione che non si acquisisce sui manuali, bensì frequentando e lavorando con persone “indisciplinate” quanto a modo di pensare e affrontare i problemi, cioè abituate a pensare in forma non convenzionale, fuori dalle discipline codificate dall’università. Persone che conoscono i cento casi studi di successo, ma sono pronte ad abbandonarli per crearne uno nuovo.

È più utile aver letto Omero da giovane in greco, o saper distinguere le costellazioni in ogni emisfero, che leggere il primo libro nella classifica delle riviste manageriali. Il grande consulente Peter Drucker ci teneva a sottolineare di essere un puro prodotto del ginnasio tedesco degli anni trenta.

In quegli anni ho imparato cosa fosse il value for money, cioè dare al cliente e alla sua attività valore e non chiacchiere. Il dopo Gennaro è legato a un gruppo che avevo incrociato a Boston. Si chiamava MAC Group, al suo interno vi erano persone per le quali avevo lavorato e con loro è iniziata un’attività molto ampia, davvero internazionale.

L.G. Poi è entrato in Montedison.

P.B. Sì. Avevo conosciuto, sempre per lavoro, Mario Schimberni e quando è diventato presidente della Montedison mi ha chiamato nel gruppo di strategia, e quella è stata una storia straordinaria.

Straordinaria perché con lui è entrata in Montedison, nel quartier generale di Foro Buonaparte e all’Istituto Donegani, una generazione di professionisti giovani. E lui, pur con il suo carattere ruvido, sapeva ascoltare. Straordinaria, inoltre, perché in Montedison abbiamo fatto tutto quello che poi in Italia è diventato comune: la prima quotazione con il doppio listino, a Milano e New York, acquisizioni negli Stati Uniti quando nessuno le faceva, ristrutturazioni, cessioni, una comunicazione tutta culturale, con una particolare attenzione agli aspetti scientifici.

Per me è stata una palestra formidabile. Venivano consulenti dall’America: Michel Porter era di casa, ma anche Kissinger. Venivano le banche d’affari. Era un mondo che prima ignoravo o di cui avevo una conoscenza molto vaga. Ho assorbito tutti questi stimoli, poi, nel 1987, il settembre nero, il crollo di Wall Street: avevamo metà delle attività negli Stati Uniti, in un attimo calate del 50%.

Schimberni stava creando una public company. Quella di Montedison era ormai una storia di successo e questo attirava le invidie dell’establishment, ma soprattutto lui aveva guidato scalate ostili e questo non gli è stato mai perdonato. È stato allontanato a seguito della scalata di Gardini alla Montedison con la benedizione dell’élite industriale e finanziaria.

Per un po’ sono rimasto, mi occupavo della parte internazionale.

L.G. Quindi i suoi viaggi all’estero continuavano ed erano frequenti.

P.B. L’America, l’ho girata tutta, facendo spesso colazione in una città e cenando in un’altra.

I viaggi erano un paio a settimana e mi piaceva moltissimo: gli aeroporti sono oggi quello che il porto era ieri. Nel frattempo continuavo la mia attività

di consulente, qui a Milano, dove ho sempre tenuto un ufficio, fin da giovane, in cui seguire i clienti, perché ho sempre pensato di non dovermi legare a uno specifico incarico, qualunque esso fosse. Nello stesso periodo ero anche nel Consiglio di amministrazione della Popolare di Milano, di cui in seguito sono stato nominato vicepresidente, poi presidente dal 1996 al 2001.

La Banca aveva filiali a Londra e negli Stati Uniti: ho fatto, per esempio, il primo collocamento di un’obbligazione sul mercato borsistico americano di una banca popolare italiana.

L’effervescenza era laggiù, quindi continuavo a viaggiare in America. In quegli anni ho anche organizzato alla Popolare alcuni incontri internazionali con la partecipazione di intellettuali e scienziati che vivevano all’estero, come Luigi Luca Cavalli-Sforza.

Il primo confronto internazionale tra il fondatore della genetica delle popolazioni, Cavalli-Sforza, e la sua scuola, e gli studiosi delle origini indoeuropee della nostra civiltà è stato fatto nel salone della Popolare. Oltre ai genetisti, c’erano linguisti come Ruhlen e Villar, archeologi come Renfrew e Lehmann, indologi come Sergent, filologi come Mallory e grandi “irregolari” come Bernal e il nostro Semerano.

Promuovere iniziative di respiro internazionale, al di là delle sovvenzioni alla Scala, mi sembrava il modo in cui un’importante banca “glocale” – di territorio, si direbbe oggi, per i territori del mondo – dialogava con la città. Ma Milano era già in declino: una città vivace, ma liquida: una liquidità mercuriale associata a una liquidità da palude.

Per non apparire troppo pessimista posso pensare, come certi materialisti dell’Ottocento, che in fondo nell’acqua stagnante può fermentare la vita…

L.G. Di Milano ha vissuto tutte le trasformazioni degli ultimi decenni.

P.B. Tutte. Ricordo le pecore in quello che adesso è appena fuori dalla seconda cerchia dei Navigli e che negli anni cinquanta era campagna. Sono nato a Ferrara, ma i miei genitori si sono subito trasferiti a Milano. Sono milanese anche come cultura, a tutti gli effetti: ho fatto le elementari in via Lorenteggio, un insediamento di immigrati, non ci capivamo

perché ognuno parlava il proprio dialetto.

Fino al 1992, la cultura diffusa a Milano era quella lombarda, “protestante”, ovvero univa sobrietà e responsabilità sociale e civile; poi da un lato l’immigrazione dal Sud di professionisti, avvocati, professori ha un po’ sgretolato questo nucleo, dall’altro nel 1992 è stata liquidata un’intera classe dirigente.

La città ha iniziato a diventare sempre più piccola, irrilevante, e l’asse si è spostato su Roma. Roma è già un po’ più aperta, ma siamo comunque lontani da Londra, la città più internazionale che abbiamo in Europa.

L’esempio più calzante di che cos’è Londra lo percepisci nel primo ristorante in cui ti fermi. Un vero microcosmo, dove l’inglese che senti è una lingua franca parlata da persone le cui lingue madri sono praticamente tutte diverse.

L.G. Dopo la presidenza della Popolare quali attività ha svolto? P.B. Quando sono uscito dalla Popolare ho ricominciato a fare il consulente, un’attività che chiamo banchiere privato. Mi occupo di strategie aziendali, di trasferire qui il mio sapere e le mie relazioni.

Infatti, nel mio vantaggio competitivo rientrano le relazioni che ho intrecciato negli anni con persone che appartengono alle élite dirigenti e bancarie degli altri paesi. A Milano ci sono i clienti, è però una rete locale ma debole, perché si fa fatica a scambiare, a creare meccanismi di reciprocità.

Quindi, uscito dalla Popolare, ho ripreso il mio lavoro originario seguendo clienti in Italia e all’estero e creando il mio gruppo, Charta Group – nome

che ricorda la Magna Charta –, il quale riunisce un insieme di società.

L’ultimo libro di Henry Kissinger, rappresenta più che un’opera letteraria una lectio magistralis sullo scenario geopolitico tra: storia, geografia, politica e passione.

Il libro rappresenta il compendio del pensiero storico-politico di Kissinger,in cui tra declino americano, guerre di religione, ritorno della Russia e avanzata della Cina, l’equilibrio mondiale appare tutto da definire.

Da dove ripartire allora?

Certamente da un modello cooperativo tra Stati che tuttavia, nella sua riuscita, dipende dalla leadership dei rispettivi leader.

Nasce sponatena la domanda di chi guiderà allora il nuovo ordine?

La risposta è scontata, per Kissinger non possono essere che gli Stati Uniti.

Kissinger tuttavia ne evidenzia i limiti, gli errori sul piano internazionale, come il recente approccio idealista verso le Primavere arabe, ma anche ne esalta la statura politica e il carattere sempre votato agli investimenti e allo sviluppo.

Kissinger ricorda come l’odine globale affermatosi durante la Guerra fredda sia stato possibile grazie al mantenimento di un sano idealismo americano.

Oggi lo scenario è molto più complesso e difficile. Il nodo  islamico ne è la prova con la sua mancata separazione tra Stato e moschea e individuando in questo la causa principale del caos mediorientale.

In sintesi un Islam che è in guerra con se stesso prima che con il resto del mondo.

In sintesi, scrive Kissinger nessun ordine internazionale, può durare senza collegare “power to legitimacy”.

La Storia dimostra che dal novecento ad oggi, solo gli Stati Uniti sono riusciti in questo scopo.  “”Qualunque sistema mondiale per essere sostenibile deve essere accettato e ritenuto giusto non solo dai Governi, ma anche dai cittadini.”

Una sfida socio politica economica che riguarda il futuro delle prossime generazioni.