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Come aveva puntualmente notato Carl Gustav Jung, nella storia umana esistono degli elementi ricorrenti.

Non parliamo solo di storia moderna ma anche di storia antica, ma soprattutto mitologia e raffigurazione religioso-folkloristica. Questi elementi ricorrenti esistono anche all’interno di ognuno di noi, sosteneva Jung, e si chiamano archetipi dell’inconscio collettivo.

Le uccisioni rituali

James George Frazer si occupa di un archetipo, benché non lo chiami con questo nome, ovvero quello dell’uccisione rituale. Un esempio sorprendente di una monarchia limitata da uccisione rituale ci viene dal potente regno medievale dei Khazari, nella Russia meridionale. Qui i sovrani venivano messi a morte allo scadere di un determinato periodo, oppure quando una calamità indicava il declino dei loro poteri.

I disastri, le inondazioni, le siccità e le carestie venivano infatti viste inconsciamente come malattie dello stesso sovrano. A noi classicisti questa considerazione richiama una memoria epica: la città di Tebe funestata dalle piaghe perché il suo sovrano si è comportato in maniera impura – anche se in realtà Edipo soddisfaceva il suo Fato, ma questo è un altro discorso.

Anche in alcune popolazioni dell’Africa, riporta Frazer, si svolgono rituali analoghi. Ad esempio l’usanza nel Bunyoro di scegliere ogni anno un sostituto del sovrano da un determinato clan che avrebbe impersonato il re, avrebbe abitato con le vedove nel suo tempio, e dopo una settimana sarebbe stato strangolato.

Sacee babilonesi

L’usanza è parallela alla festa babilonese delle Sacee, dove un sovrano fittizio veniva rivestito con abiti regali, frequentava le concubine del re, e dopo 5 giorni di regno veniva fustigato e messo a morte. 

Anche in altre tribù dell’Africa si è assistito alla messa a morte periodica dei re, in alcuni casi con una sorta di sfida pubblica da parte degli uomini più vigorosi, che avrebbero sfidato in un combattimento il sovrano stesso. 

Insomma, fare il re non era proprio una passeggiata, in diverse tribù dell’antichità!

Ma non pensiamo che sia un tribalismo da cui siamo esenti: accadeva una cosa simile anche nella Grecia antica.

(Continua)

Meteorite Ipazia, titolano i giornali.

Una figura controversa, così densa di categorie disparate da permettere appropriazioni ideologiche da fronti diversi.

Tralasciando in blocco clericalismi dell’ultim’ora, il mio pensiero va alla scuola di Atene del nostro Raffaello.

Che Ipazia trovi posto in questo consesso di grandi è in realtà un’equazione non così scontata. Lo stilnovismo, la mentalità cortese e la letteratura trobadorica da sole non bastavano ovviamente ad acuire l’interesse verso coloro del gentil sesso che manifestassero inclinazioni aristotelicamente “maschili”. La Beatrice dantesca non ha meriti intellettuali di sorta, per intenderci.

Un altro fattore da considerarsi è l’interesse dell’Umanesimo in un certo senso relativistico verso le conquiste scientifiche. Mi spiego, l’Umanesimo ha in sé i germi del metodo galileiano, almeno così ci insegnano i manuali di letteratura vocati alla nozione di continuità storica e progresso. Secondo questa visione, l’Umanesimo non è che un preludio, con la sua ricerca filologica, al tentativo di scandaglio veridico che poi sarà prerogativa e caratteristica delle scienze.

Meteorite Ipazia, una fusione tra generi

Il meteorite Ipazia quindi mi evoca anche quel meteorite che fu quella figura storica. Una donna, innanzi tutto, che per l’epoca ellenistica aveva più spazio di manovra della donna ellenica. Più accesso alla cultura, quantomeno, vista la fruizione documentata bi-genere delle Biblioteche di Alessandria e Pergamo, ad esempio. Ora, non so se fossero due realtà cosmopolite al punto da accettare la stranezza femminile, constato unicamente un dato di fatto.

Quindi, Raffaello percepì in lei non solo la dignità di parola e di ricerca spirituale attribuita alle donne cortesi accrescitrici di spirito. Ma anche, e soprattutto, una mente razionale, in barba a quella stessa concezione aristotelica che l’avrebbe privata dell’animo intellettivo. In quanto donna, sempre.

Il laicismo del quale è stata ammantata dalla tradizione successiva non preoccupa ovviamente Raffaello, che ha le Stanze Vaticane come obiettivo. Trovo comunque significativo il fatto che l’istituzione ecclesiastica consentisse all’epoca uno spiraglio di dissenso simile. Ingentilito dal tributo a Umanesimo e valori cortesi, che comunque denotano più una secolarizzazione dell’istituzione che altro.

Più che veicolo ideologico, mi pare molto una patina “fashion”, l’inserimento di Ipazia.