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Per quanto una persona conosca una lingua, ci sono termini che solo i madrelingua sanno pronunciare correttamente. Questa difficoltà si estende ad alcuni fonemi, gruppi vocalici o consonantici, ma quando parliamo di intere parole, allora esiste un termine specifico.

Cos’è lo shibbòleth

Esistono alcuni termini o intere frasi particolarmente complessi da pronunciare per il parlante non nativo, e si chiamano shibbòleth. Innanzi tutto, attenzione a non confondere lo shibbòleth con lo scioglilingua, difficile da pronunciare anche per i parlanti madrelingua. 

Il termine shibbòleth in realtà deriva dal secondo libro dei Giudici della Bibbia cattolica e significa in ebraico “spiga”. Ma ben più del suo significato è interessante il fatto che questo termine venisse usato come una sorta di parola d’ordine.

La storia

Infuria la battaglia tra Galaaditi ed Efraimiti.

Le armi sono quasi pari, il combattimento si svolge all’ultimo sangue, e alla fine i Galaaditi hanno la meglio.

Gli Efraimiti sono dunque in fuga, ma gli avversari non vogliono lasciarli scappare vivi.

Mentre gli Efraimiti stanno guadando il Giordano, i Galaaditi li bloccano chiedendo una parola d’ordine: il termine shibbòleth.

Impossibile da pronunciare per gli Efraimiti, che venivano così riconosciuti e uccisi durante la fuga.

Il ruolo sociale dello shibboleth

Può accadere che il parlante di una comunità linguistica sia totalmente all’oscuro del fatto di non saper pronunciare come si deve uno shibboleth, e questo evento può diventare macchiettistico e dare luogo a sipari divertenti.

In fondo l’imitazione degli accenti stranieri, di cui il nostro migliore cabaret è ricolmo, si basa principalmente sul fatto che ci sono shibboleth italiani impronunciabili per stranieri.

Nel nostro percorso etno-archeologico per cercare di capire da dove provenga la tradizione dei sacerdoti di Diana del bosco di Nemi (antica usanza italica) abbiamo fatto diversa strada.
Abbiamo visto ad esempio il ruolo di potere e magia, intesa sia come superstizione che come naturale evoluzione religiosa.
Questo perché la fusione tra potere temporale e potere spirituale è successa a varie latitudini in varie epoche storiche, non solo nel bosco di Nemi dedicato a Diana, da cui ha origine il cruento rituale dell’uccisione del re sacerdote da parte del futuro sacerdote.
Quindi, è un re-mago-politico?
Non potrebbe il re del Bosco avere avuto un’origine simile a quella che una verosimile tradizione indica per il re sacrificale di Roma e il re titolare di Atene?
O meglio, i suoi predecessori non avrebbero potuto appartenere a un antico re-sacerdote, che una rivoluzione repubblicana avesse poi spogliato del potere politico, lasciamo solo le mansioni religiose e l’ombra della corona?
La risposta secondo me è negativa.
Un re del bosco
Se i predecessori del sacerdote nel bosco di Nemi fossero stati re, lui avrebbe dimorato nella città dove gli è stato tolto lo scettro, quindi Aricia. Ma abbiamo detto che Ariccia sorgeva a oltre 5 km dal suo santuario nella foresta accanto alla sponda del lago.
Se regnava, non regnava in città, ma regnava nel bosco.
Era probabilmente un re legato a una tradizione naturale, quella del bosco, da cui prende il nome. Quindi è improprio accostare questo tipo di divinità ai monarchi di cui ho parlato precedentemente, il cui controllo sulla natura è generico e non specifico. Ci sono invece nella storia di diversi popoli dei Re legati a fenomeni naturali. In particolare, nella tradizione ariana troviamo spesso il culto degli alberi con un ruolo di primo piano.
La cosa non deve stupirci perché in Inghilterra, in Germania e nel nord Italia le regioni erano interamente coperte da boschi: se ricordiamo Livio parlava delle tremende sterminate selve germaniche. Anche la greca Arcadia era nota per le sue splendide popolazioni montane di alberi. Grimm giunse alla conclusione che fra gli antichi Germani i santuari erano probabilmente le foreste.
Ci sono le Sacre Querce dei druidi tra le genti celtiche e il loro antico termine per indicare un santuario è identico al termine latino nemus, che sopravvive nel toponomastico Nemi.
Vietato strappare l’albero sacro
Chiunque strappava un ramo o una parte dell’albero nelle popolazioni germaniche veniva sottoposto a durissime punizioni .
Oppure ancora nel santuario di Asclepio a Coo era vietato abbattere i cipressi, pena un’ammenda di 1000€; ma anche nel foro di Roma il fico ruminale sacro a Romolo fu venerato fino all’epoca imperiale. Quando il suo tronco si seccò, tutta la città ne rimase fortemente dispiaciuta. Diverse popolazioni, soprattutto quella dei nativi americani, ritenevano che uccidere un albero fosse altrettanto colpevole che uccidere un animale.

Ecco che i contorni dei re-sacerdoti della foresta di Nemi si fanno pian piano più chiari.

Abbiamo visto come la magia fosse una forma di controllo sociale e controllo divino. Dalla magia la comunità umana è poi culturalmente transitata verso la religione, che introduce l’ulteriore passaggio dell’intercessione con il Dio per ottenere ciò che per l’uomo è più utile. A metà strada in questa intercessione si possno trovare alcune figure soprannaturali a metà tra uomo e Dio, che grazie alla loro potenza superiore possono meglio aiutare gli uomini nella loro intercessione.

Vediamo meglio di cosa si tratta.

Semidei

Per un buon selvaggio le forze della natura non sono oggetto di timore, né possono costringerlo o imprigionarlo: conoscendo le giuste leggi e studiandole, egli sale sul piedistallo dell’uguaglianza ed è mediamente in grado di controllare le forze soprannaturali. La magia è più democratica della religione, a mio parere, proprio per questo aspetto.

Via via che il suo antico senso di parità con gli dei svanisce, il selvaggio rinuncia però alla speranza di poter gestire il corso della natura con le sue forze; l’uomo si tende a rivolgere sempre più agli dei come unici depositari di quei poteri soprannaturali che un tempo condivideva. 

Dalla magia alle preghiere e sacrifici, tipici della religione

Ecco che man mano che la conoscenza progredisce, le preghiere e sacrifici assumono un ruolo di primo piano mentre la magia viene relegata alla negromanzia. La magia incontra l’opposizione dei sacerdoti, la cui reputazione e influenza aumentano o diminuiscono con quella del concetto di dei. 

Quando finalmente – in epoca successiva – emerge la differenza tra religione e superstizione, vediamo come la porzione più illuminata della società si rivolga al sacrificio e alla preghiera, mentre la magia resta il rifugio dei superstiziosi e degli ignoranti. 

A un certo punto della storia – però – la magia torna in auge e grazie all’alchimia conduce alla chimica, e quindi alla scienza. I semidei sono figure bizzarre e non facilissime da spiegare, forse derivazione della naturale transizione da stregone e mago a dio/re. 

Cosa intendiamo con “dei”

Ovviamente, dobbiamo togliere le complesse astrazioni che attribuiamo oggi al termine “dio” e pensare a come questo veniva concepito nell’antichità. Le nostre idee sugli dei sono frutto di una lunga evoluzione intellettuale morale, a cui il selvaggio è così estraneo da non poterle comprendere nemmeno quando gli vengono spiegate. 

L’origine di questi dei può essere sia umana, sia divina, sia entrambe come nell’antica Grecia. Come esempi di dei dall’origine umile abbiamo in India due dei umanizzati molto noti, uno che inizia la sua esistenza terrena come sbiancatore di cotone, l’altro come figlio di un falegname.

Nelle comunità primitive questi dei incarnati sono molto comuni, e manifestano la propria natura operando dei miracoli per dimostrare ciò che sono al resto della comunità.

Fa parte della categoria del semidio anche il sacerdote oracolare dell’antica Grecia. È un umano per natura ma che viene occasionalmente impersonato dal dio.

Tutto questo racconto ci serve a identificare un certo tipo di figura ben precisa, che esisteva nell’antichità, e che troveremo poi nelle religioni monoteiste.

La magia in molti luoghi e etnie diverse ha sostenuto di poter dominare le grandi forze della natura creando benefici per gli uomini che la praticavano nella maniera corretta. Se così è stato, chi praticava l’arte magica era un personaggio importante e influente, in una società che nutriva piena fiducia nelle sue stravaganti affermazioni. 

Non ci sarebbe da meravigliarsi se alcuni di questi infallibili maghi avessero raggiunto una posizione di massima autorità, ad esempio assurgendo al rango di capi e sovrani. 

Manca la pioggia? Colpa del re

In diverse popolazioni antiche, se c’era penuria di pioggia e se i campi rimanevano infertili, veniva incolpato il sovrano e lo si destituiva o uccideva. 

In molte parti del mondo infatti il sovrano è responsabile del buon andamento della natura, e come ci insegna il testo “I re taumaturghi”, Anche i sovrani di Francia sostenevano di possedere le stesse virtù terapeutiche di san Luigi, che Clodoveo aveva ereditato, mentre il sovrano inglese le aveva ereditate da Edoardo il Confessore.

Allo stesso modo i capi selvaggi di Tonga guarivano dalla scrofola e dal fegato indurito con un tocco del piede: una cura basata sull’idea che la vicinanza con anche solo un oggetto o una infima parte del corpo del sovrano potesse omeopaticamente curare il male.

È arrivata poi la rivoluzione non solo sociale e tendente a una forma di governo meno oligarchica e più distribuita, come diremmo oggi democratica, che poi a varie latitudini e a più riprese sfocia nel dispotismo. 

Insieme ad essa anche la cultura è cambiata, sostituendo gradualmente la religione alla magia. Il mago cede il passo al sacerdote, che rinunciando l’idea di regolare direttamente il corso della natura a vantaggio dell’uomo, cerca di raggiungere lo stesso scopo tramite l’intercessione del Dio attraverso la preghiera. 

I sovrani politici beneficiano in realtà di tale concezione perché sebbene il contatto con il Dio si verifichi dopo la morte, si sostiene che esistano alcune persone ultra dotate in grado di concretizzare tale contatto anche nell’al-di-qua.

Ma chi sono questi dei incarnati?

Perché il sacerdote a Nemi era chiamato il re del Bosco?

Perché si definiva regale la sua carica?

Anticamente, l’abbinamento di un titolo regale agli emblemi sacerdotali era usanza comune sia in Italia che in Grecia.

A Roma e in altre città laziali il sovrane era anche responsabile dei sacrifici. Sua moglie aveva il titolo di Regina dei sacri riti. In diverse entità governative antiche iI magistrato annuale dello Stato era chiamato il re, e sua moglie la regina.

Entrambi svolgevano mansioni religiose. Sempre in Grecia, molte altre democrazie avevano titolari con mansioni, per quanto ne sappiamo, di carattere religioso, tutte riguardanti il focolare pubblico dello Stato.

Vari stati Greci avevano molti di questi sovrani titolari contemporaneamente in carica, addirittura.

Una teoria analoga circa l’origine dei re-sacerdoti prevaleva a quanto sembra anche in Grecia – è una teoria non improbabile, che vediamo anche nell’esempio di Sparta, l’unico stato Greco che mantenne una forma monarchica di governo. 

A Sparta le funzioni sacrificali erano prerogativa dei Re in qualità di discendenti degli Dei: uno dei due sovrani di Sparta manteneva la carica del sacerdozio di Zeus Lacedemone, l’altro di Zeus Celeste. Questa combinazione della funzione sacerdotale con l’autorità regale è piuttosto comune, al punto che in Asia minore ad esempio esistevano vari grandi centri religiosi il cui comando ricadeva su Pontefici che detenevano a un tempo il potere temporale e quello religioso, come i Papi della Roma medievale.

Ai tempi del paganesimo inoltre i sovrani Teutonici ricoprivano anche il ruolo di sommi sacerdoti esercitando il potere temporale e religioso insieme, di nuovo.

L’imperatore della Cina celebrava sacrifici pubblici le cui norme erano minuziosamente regolate dei libri rituali. Anche il re del Madagascar era sommo sacerdote nel regno.

Tutti conosciamo il ruolo taumaturgico dei re, che va oltre il semplice raccontino mitico e si declina in tutta una serie di convinzioni popolari molto radicate. Re sacerdoti e sacerdoti re sono figure che si compenetrano, e nelle quali verifichiamo una diversa dominanza di una delle due figure, ma sempre una certa interdipendenza.

Ci è concesso analizzare scientificamente la magia?

Qualcuno ci ha provato, identificando due principali criteri quando si parla di magia. Il primo è che il simile genera il simile, ovvero l’effetto somiglia alla causa.

Il secondo è che le cose  che sono entrate in contatto reciproco una volta continueranno poi a replicare tale contatto. Nel primo caso abbiamo la magia imitativa, nel secondo la magia che potremmo chiamare contagiosa (spieghiamo meglio con degli esempi).

Il mago ritiene che gli stessi principi che applica nella pratica della sua arte regolino l’attività della natura inanimata. In altri termini parte dal basso, con il presupposto che le leggi magiche siano delle pseudo norme che si possono applicare universalmente e non siano limitate alle azioni umane.

Magia come protoscienza

La magia è un sistema spurio di legge naturale e una fallace guida di condotta, insomma una falsa scienza, o meglio una “protoscienza”.

La bambolina voodoo

Ad esempio la fabbricazione di una bambolina voodoo a somiglianza di una persona che si desidera colpire infilzando il fantoccio con lo spillone è un esempio di magia imitativa. La bambolina assomiglia in qualche modo al nostro nemico giurato.

Se a questa bambolina voodoo vengono aggiunti nei capelli della vittima oppure dei suoi dati personali, si tratta di magia contagiosa perché questi elementi sono stati in contatto con il corpo della persona reale.

Questa distinzione è fatta da James George Frazer, e personalmente l’ho trovata geniale. Esplica infatti appieno il complesso rapporto che abbiamo tra spiegazione e raffigurazione dei fenomeni, e il timore che abbiamo del contagio e della vicinanza con elementi benigni o maligni.

La magia, nonostante la forte scientificità che ci permea, è ancora presente nella mente di molti di noi.

Non mi sentirei di parlare di recrudescenza dell’inconscio o di stupidità, ma piuttosto di una pendenza che è presente che noi in modo atavico, incontrollabile.

In questo senso, i segni zodiacali che omologano caratterialmente diversi individui sulla base della comunanza per segno appartengono ancora la magia omeopatica. Lo stesso principio della farmacologia omeopatica rientra in questa prima categoria.

Sulla magia contagiosa, in un’epoca post covid-19 non mi sento di esprimermi perché già attorno a me il termine “contagi” è largamente abusato.

Torneremo presto a parlare dei Re Sacri in boschi di Diana, quindi vi invito a rimanere sintonizzati! 

 

Rieccoci a parlare di uccisioni sacrificali, di Diana Nemorense, Virbio e del vero volto di Ippolito, che tutti conosciamo per la Fedra di Seneca e di Euripide ma che nasconde in realtà molti segreti.

Secondo il filo del ragionamento che abbiamo seguito finora, e che segue anche James Frazer, Virbio o meglio Ippolito diventa così lo sposo della dea Artemide o Diana, nonché il sovrano di Nemi.

Come lui, anche i successivi dei del Bosco incontrano una fine violentissima, come abbiamo raccontato quando abbiamo parlato della foresta di Nemi. 

A questo punto Virbio diventa il sacerdote trucidato dal suo successore, e la dea viene personificata nientemeno che dall’albero. Ancora oggi in India permane l’usanza di sposare fisicamente uomini e donne a un albero, quindi potrebbe essere una pratica comune anche nell’antico Lazio.

Riepilogo

Facciamo un breve riassunto di quanto abbiamo detto finora: il culto di Diana nel suo recinto Sacro di Nemi aveva u’enorme importanza e risaliva ad epoche immemorabili. Diana era adorata in quanto dea dei Boschi, delle Creature selvatiche, del bestiame domestico e dei frutti della Terra, in grado di aiutare le partorienti e di dispensare figli all’umanità.

Il suo fuoco sacro era custodito dalle vergini perennemente acceso, in un tempio circolare all’interno del Recinto. Associata a lei stava la Ninfa Egeria, che a volte assumeva la funzione di soccorritrice delle partorienti e che si riteneva si fosse congiunta con un antico re di Roma nel recinto sacro.

Possiamo concludere che la stessa Diana ebbe un compagno di nome Virbio, che fu come Adone per Venere o Atti per Cibele. In epoca storica questa vicenda è rappresentata probabilmente da sacerdoti nominati dal re dei Boschi che venivano uccisi dai loro successori a fil di spada.

In conclusione

Vi sembra una carrellata di nozioni scollegate tra loro?

Devo ammettere che ancora non è chiara nemmeno a me l’origine dell’uccisione rituale nei boschi di Nemi. Quello che però mi è chiaro congiungendo tutti questi dettagli diversi è che esiste una sorta di archetipo del re sacerdote che si ripropone in varie epoche e sotto varie vesti.

Sarà di questi sacerdoti che parleremo nelle prossime puntate di storia e mitologia antica.

Abbiamo parlato nell’ultima puntata di mitologia greca e uccisione rituale di Vibio la divinità coesistente con quella di Diana Nemorense nella foresta di Nemi.

Abbiamo parlato spesso di Ippolito, che tutti conosciamo principalmente per la Fedra di Euripide e di Seneca. Ma chi è in realtà Ippolito?

Amante mortale

Fu stata avanzata l’ipotesi che nel giovane Ippolito amato da Artemide, stroncato nel fiore degli anni e pianto ogni anno nella sua nativa Trezene, si possa riconoscere uno di quegli amanti mortali prediletti da una divinità di cui è ricca la religione antica. Il più famoso è Adone.

Si sostiene che la rivalità tra Artemide e Fedra per l’amore di Ippolito riproduca sotto nomi differenti la rivalità tra Afrodite e Proserpina per l’amore di Adone. Fedra in fondo è pur sempre un duplicato di Afrodite.

Questa teoria probabilmente non fa torto a Ippolito e non fa porto nemmeno ad Artemide. Quest’ultima era originariamente la grande dea della fertilità è colei che rende fertile la natura deve essere essa stessa fertile. Insomma, per essere fertile deve avere uno sposo.

Probabilmente Ippolito nel suo natio santuario situato a Trezene non era nient’altro che lo sposo di Artemide.

Trezene, patria di Ippolito

Prima del matrimonio i giovani e le giovani di Trezene offrivano le proprie ciocche recise al dio, e questo avrebbe cementato la sua Unione con la dea, avrebbe promosso la fertilità della terra, del bestiame e della famiglia. 

La tragica morte del giovane Ippolito, come raccontata anche ritualmente a Trezene, presenta varie analogie con racconti simili di altri giovani belli e mortali che pagarono con la vita la breve estasi d’amore con una dea immortale.

Probabilmente quegli infelici amanti non furono sempre solo figure mitiche e le varie leggende che ravvisano il loro sangue nella viola purpurea, nell’anemone scarlatto o nello splendore cremisino della Rosa, non erano solo poesie della gioventù della bellezza, fuggevoli come i fiori dell’estate. Erano piuttosto fiabe, che racchiudevano una più profonda filosofia sul rapporto fra la vita dell’uomo e della natura, una triste filosofia da cui prese origine una tragica usanza.

Siete curiosi di sapere di quale usanza sto parlando?

Ve lo rivelerò nella prossima puntata.

Nella scorsa puntata abbiamo parlato di Virbio, una delle altre divinità del bosco di Nemi in cui si praticava l’uccisione rituale dei sacerdoti in nome della dea Diana Nemorensis.

Una storia inventata

La storia inventata per giustificare il culto di Virbio vicino a quello della Diana nemorensis è del tutto priva di fondamento storico. Si tratta di un mito elaborato per spiegare le origini di un rituale religioso e che ha come unico fondamento analogie reali e immaginarie che si trovano in quel rituale. Infatti non si capisce a chi sia stata attribuita la paternità dei culti nemorensi.

A Oreste o a Ippolito?

Certo, queste giustificazioni storiche di questi fatti inventati ci danno la cifra di quanto sia antico il rituale e di quanto si perda nella notte dei tempi.

L’opinione di Catone il Vecchio

Una versione più storica è sostenuta da Catone il vecchio, che parla dell’istituzione del Bosco sacro a Diana da parte di un certo Egerio Bebio o Levio, di Tuscolo. Fu dittatore latino per l’incarico degli abitanti di Paesi confinanti.

Il santuario sarebbe stato antichissimo, risalente al 495 avanti Cristo, anno in cui Pomezia fu messa a Ferro e Fuoco dei romani e scomparve dalla storia.
È però insolito pensare che una norma così barbarica e cruenta sia stata istituita da un consesso Civile con quello dei popoli latini. Probabilmente era una regola tramandata di generazione in generazione da un’entità anteriore alla memoria umana, quando l’Italia era ancora uno stato primitivo.

Ricordate il detto in Latino “vi sono molti Mani ad Ariccia”?

Alcuni spiegano il detto affermando che Egerio fu progenitore di una lunga e illustre schiatta, mentre altri ritengono che il detto si riferisca alla presenza in Ariccia di molta gente brutta e le forme, dove Manius è Mania lo spauracchio per i bambini, una sorta di uomo nero. Un autore satirico romano chiama Manio il mendicante che sosta sulle pendici di Aricia in attesa dei Pellegrini.

Interpretazioni diverse

Tutte queste interpretazioni diverse, e questa strana discrepanza fra Egerio di Ariccia e Levio di Tuscolo, oltre alla somiglianza dei due nomi con quello della mitica Egeria, tutti questi dettagli suscitano un certo sospetto. Non possiamo comunque rifiutare quello che dice Catone il vecchio, quindi possiamo considerare questa costruzione come una sorta di restauro o meglio rimessa in attività.
Questa vicenda ci spiega ancora una volta come per interpretare i miti classici serva un occhio che va oltre quello dell’archeologo e oltre a quello dell’antropologo.

Serve una visione d’insieme.

Un’altra divinità del Bosco di Nemi, che condivideva con la temibile Diana, era Virbio.

Virbio

Si ritiene che Virbio fosse Ippolito, il giovane eroe greco casto e bello che aveva appreso l’arte venatoria dal centauro Chirone e trascorreva la vita nei boschi a caccia di belve.

La sua unica compagna era la Vergine cacciatrice Artemide, l’equivalente greco di Diana. Orgoglioso e pago della sua compagna Divina, Ippolito disdegnava le donne, e proprio questa fu la sua rovina.

Afrodite, invaghita si di lui è sdegnata dalla sua indifferenza per l’amore, fece innamorare di lui la matrigna Fedra. Tutti conosciamo la tragica storia: quando Ippolito respinse le avance della matrigna, lei per vendetta lo accusò falsamente presso suo padre Teseo di molestie. Teseo credette alle menzogne di Fedra e si rivolse al padre Poseidone per vendicare l’affronto. Ippolito stava guidando il proprio carro lungo le rive di un Golfo, quando un toro feroce uscì dalle onde direttamente contro di lui e lo travolse.

Cosa c’entra la dea Diana con Virbio?

La dea Diana amava Ippolito profondamente, dunque alla sua morte convinse il medico Esculapio riportare in vita il giovane Cacciatore. Giove era sdegnato perché un mortale era tornato dal regno dei morti e scaraventò l’incauto medico nell’Ade.

Diana riuscì però a nascondere almeno Ippolito in una nube e cammuffò i suoi lineamenti rendendolo più vecchio. Lo portò nelle valli di Nemi affidandolo alla Ninfa Egeria perché vivesse lì sotto il nome di Virbio nel cuore della foresta italica. Dal suo santuario  vennero banditi i cavalli perché furono i cavalli a uccidere Ippolito.

Virbio ebbe anche un figlio omonimo che combattè a fianco dei Latini nella guerra contro Enea e i Troiani. Si tratta di una divinità locale molto diffusa nella penisola italica, che compare anche in Campania e in altri boschi.

Alcuni ritenevano che gli fosse il sole, in realtà si tratta di una divinità giovane e maschile parallela a quella di Atti che si associa a Giunone, Ectonio con Minerva e Adone con Venere.

Ritroviamo Virbio/Ippolito il 13 agosto come Sant’Ippolito, martire trascinato dai cavalli. Per chi conosce molto bene la festa di Nemi, il 13 agosto è la data riconoscibilissima della festa dedicata a Diana.

Tutto questo è molto interessante. Peccato che sia falso: questa non è l’origine dell’uccisione rituale dei sacerdoti nella foresta di Nemi.

(continua)