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Penso che il concetto di free tour sia abbastanza indicativo dei grossi cambiamenti che sono intercorsi negli ultimi vent’anni nell’idea di promozione turistica.

Si moltiplicano online siti nei quali è possibile prenotare il cosiddetto “free tour” di una città. Solitamente, una grande capitale europea, una Londra o una Parigi, o una Berlino. La grandezza della città rende sensato quello che il Free Tour rappresenta.

Una visita inedita: il free tour solitamente esce dal convenzionale.

Mi è capitato qualche tempo fa di incappare a Londra in un gruppo di turisti attratti da una guida che pontificava sull’arte di strada. Il ragazzo, un giovane britannico spigliato, portava questa ventina di individui fuori da Marble Arch, dirigendosi in direzione opposta al centro.

Non ho seguito la comitiva ma ho poi approfondito. Coloro che conducono i free tour devono motivare i turisti raccolti a donare qualche soldo alla fine del tour, e per farlo lanciano la sfida sulla competitività più assoluta. Nei contenuti, intendo. Questo giro di street art è sicuramente qualcosa di impensabile per me, e nemmeno avrei saputo come prenotare. Ora vedo che esistono moltissimi siti dai quali è possibile prenotare comodamente una visita, da casa propria in fase di programmazione del viaggio, oppure a poco tempo di distanza dal tour, ovviamente nei limiti della disponibilità.

Trovo un segno dei tempi che questi giovani guide lavorino in assoluta assenza di qualsiasi garanzia di guadagno. Come gli artisti di strada, se vogliamo, ma in termini sociologici come gli agenti di vendita e gli artigiani: in comune con i primi, l’investimento nell’auto-promozione. Con i secondi, l’originalità del prodotto, che però in questo caso non ha nemmeno un prezzo fisso.

La net society rende indubbiamente più semplice questo scambio fluido di competenze. 

Ben venga per le città, nelle quali gli sguardi inediti si lasciano promuovere con l’incentivo di un guadagno. Per quanto incerto.

Dovessi descrivere la società londinese, dai mille volti e dalle infinite sfumature, probabilmente ripeterei ciò che ho detto precedentemente: la trovo nella sua flessibilità una metafora del mondo odierno, preda di un incessante sviluppo. Come ogni megalopoli ha molteplici ritmi interconnessi fra loro, nelle minime ore di riposo della città, c’è sempre chi va al lavoro e chi invece torna a casa o esce con altre persone. Londra è una città che vive di colori e profumi diversi che mischiano le diverse etnie e le differenti culture. Una cosa rimane innegabile, se lo si vuole, ogni giorno è capace di stupirci e farsi scoprire in modi sempre diversi.

Un modo tutto particolare per vivere questa capitale e scoprirne angoli inediti, è quello di lasciarsi trasportare dalla musica. Anche nel frastuono del progresso, la guida della musica classica riporta in realtà familiari, negozi deserti e bancarelle affollatissime. Non è certo un caso che il più vecchio negozio di dischi di tutto il mondo, lo “Spillers Records”, sia inglese.

A prescindere dal genere musicale a cui ci si appassiona, scoprirne la versione in vinile rimane un modo di vivere e scolare la musica davvero unico, a cui diventa veramente difficile rinunciare.

Società che non vuole perdere una magia passata

In questi anni la vendita dei vinili nella capitale londinese sta prendendo sempre più piede, permettendo così a chi se ne occupa di poter sviluppare idee nuove ed eventi, che permettano anche ai più giovani di venire in contatto con questa realtà. Si organizzano così dj set, concerti, mostre ma anche biblioteche del vinile. Una vera e propria arte quella della musica su giradischi che i cittadini del mondo non sembrano voler abbandonare. Il progresso tecnologico ha aggiunto nuovi modi di fruire la musica, sempre più veloci e privi di ostacoli, tuttavia credo che proprio questo modo vorace abbia lasciato spazio a un’esigenza diversa in molte persone: la necessità di un rito rilassante che accompagni l’ascolto della musica. La ricerca del vinile in pittoreschi angoli delle città, il suo montaggio sul giradischi in una sala silenziosa, accompagnato da una meditazione musicale in poltrona.

Solo lasciando fuori dalla porta le corse frenetiche per risalire i gradini della scala sociale frammentata, tipica del mondo odierno, riuscirete ad apprezzare la calma e la pace di un buon disco.

Un’altra capitale in cui sono stato innumerevoli volte: Londra.

Nel mio viaggiar giovanile, dopo l’università, ho continuato a studiare, esplorare e allargare il mio campo d’azione e conoscenza. Ho visto crescere la City che oggi conosciamo, mi sono fermato alla London School of Economics, di cui ho parlato in una recente intervista, ma non solo. Oltre alla grande apertura verso finanza, investimenti e sviluppo, nella Capitale inglese ho trovato anche un grande fermento artistico.

Leggere oggi dell’inaugurazione della prima London Design Biennale, mi ha ricordato le avanguardie che ho visto qui alla fine degli anni 70. Anche il tema dell’evento mi affascina, forse perché richiama i miei studi sociologici. Si tratta dell’utopia, trattata dal punto di vista del design, in omaggio ai 500 anni dalla pubblicazione di uno scritto cinquecentesco: L’Utopia, di Thomas More. Un romanzo, un magnifico romanzo, che ha dato i natali al neologismo utopia, un termine meraviglioso e allo stesso tempo ricco di malinconia. L’impossibilità di raggiungere un ideale tanto reale, quanto visionario.

Un termine necessario nel nostro vocabolario, voluto con grande ambiguità e critica sociale dal suo autore. More parlando dell’Isola di Utopia, parlava dell’Inghilterra dei Tudor e di un modello politico, economico e sociale astratto, isolato e concentrico. La visione di un mondo nuovo, una meta irreale, che i designer di oltre 30 Nazioni hanno re-interpretato e stanno mostrando in tutta Londra con numerose installazioni e opere.

L’interpretazione è calata nella prospettiva odierna ovviamente, con grande attenzione ai temi più sentiti in tutte le metropoli, non solo sulle sponde del Tamigi. Le installazioni parlano di sostenibilità, migrazioni, inquinamento, energia, equità sociale e delle città stesse.

Una settembrina Capitale del Design

Trovo davvero pregevole lo spunto lanciato dagli ideatori della Biennale londinese. Il loro evento, non a caso, incrocia come tempi e luoghi il London Design Festival, che già da solo costituiva un notevole capitale di idee e visioni del mondo estremamente dinamiche.

In ogni caso, oltre all’interessantissima ricerca delle emozioni nei materiali e nelle forme, la revisione degli spazi a cui hanno dato vita questi due eventi, ci ha condotti a una grande esposizione temporanea capace di avvolgere idealmente e fisicamente la Capitale della finanza nel nostro Vecchio Continente.

Una metafora del mondo odierno, preda di un incessante sviluppo.

Mentre le persone proseguono con la loro vita frenetica, la creatività artistica procede per la sua strada. Una strada parallela, veloce, emotiva e perché no, anche spirituale, che mi fa riflettere su come non sia importante dove siete arrivati e di cosa siete presidenti: l’esplorazione giovanile non finisce mai.