Tra i registi più importanti della Nouvelle Vague, spiccano Jean-Luc Godard, François Truffaut, Eric Rohmer, Jacques Rivette, Claude Chabrol, Agnès Varda e Alain Resnais. Ciascuno di loro ha contribuito in modo significativo a questo movimento e ha sviluppato un proprio stile distintivo. Ad esempio, François Truffaut è noto per il suo approccio alla psicologia dei personaggi e alle relazioni umane, mentre Jean-Luc Godard è famoso per il suo stile sperimentale e le riflessioni filosofiche nei suoi film.

Film Iconici della Nouvelle Vague

La Nouvelle Vague ha prodotto alcuni dei film più iconici e influenti della storia del cinema. Ecco alcune opere fondamentali di questo movimento:

“I 400 colpi” (1959) di François Truffaut: Questo film è spesso considerato uno dei capolavori della Nouvelle Vague. Narra la storia di un giovane ribelle che cerca di sfuggire alle restrizioni della società.

“Alphaville” (1965) di Jean-Luc Godard: Questo film mescola elementi di fantascienza e distopia, esplorando la disumanizzazione della società moderna.

“L’Anno Scorso a Marienbad” (1961) di Alain Resnais: Questo film è noto per la sua narrazione enigmatica e le suggestive immagini, che sfidano le convenzioni narrative tradizionali.

“Il mio uomo” (1964) di Jean-Luc Godard: Questo film offre una riflessione complessa sul rapporto tra cinema e realtà, con Godard che si rivolge direttamente al pubblico.

Capita spesso camminando per il centro di incorrere in fenomeni antropologici quantomeno studiabili. 

Mi riferisco non solo alla variabilità del milieu che popola le strade, in quanto a classe sociale, appartenenza religiosa visibile, manifestazioni di maggiore o minore educazione, ecc.

Stavolta vorrei parlare più del vestiario. 

Ne ho vista di gente mascherata. Ho visto dei buttadentro alle prese con l’invito dei passanti nel loro locale, bardati delle peggiori divise, anche con 40 gradi all’ombra. 

Ho visto persone combattere contro il caldo a suon di capi d’abbigliamento succinti, ma anche dei look che ho trovato molto curiosi in giovanissimi e a volte persino citazionisti verso mie memorie adolescenziali.

La gente fuchsia

Ho visto uno stuolo di ragazzine e ragazzini con dei capi d’abbigliamento fuchsia e rosa. La cosa mi ha incuriosito ed è bastato una semplice ricerca Google per squarciare il velo di Maya: è uscito il nuovo film di Barbie. 

Immaginavo un’utenza infantile, ma ho scoperto con somma sorpresa che questo emblema prima di rivendicazione femminista, poi di gioco infantile soprattutto femminile, poi di strumentalizzazione del corpo femminile è stato oggetto di diverse polemiche. 

La principale dovuta al fatto che Barbie è stata rivisitata da una nota contemporanea regista femminista, Greta Gerwig. 

La mia ignoranza cinematografica mi aveva comunque consentito di ricordarla come la regista di un riadattamento recente di Piccole Donne, che mi è personalmente piaciuto molto. Ho notato una certa vena che puntava a mettere le luci dell’emancipazione femminile dei personaggi della May Alcott, però tutto sommato non trovo che disturbasse eccessivamente l’intreccio originario.

Ideologie vive

Quello che mi colpisce è la venatura ideologica che percepiscono nell’associare un modo di vestire a un global trend e quindi a una regista femminista. 

Ma non erano morte le ideologie?

Vuoi vedere che mi tocca andare al cinema per Barbie? 

Longevi, pallidi, imperscrutabili: gli abitanti del Caucaso riflettono nel loro ermetismo e durezza quella che è ed è stata la loro storia.

Potremmo dire che l’instabilità profonda che l’ha riguardato ha radici con la vittoria della Russia contro la Persia, con successivo controllo della regione del Caucaso settentrionale.

Nel 1828 poi la Russia vince la guerra contro l’Impero ottomano e ottiene il controllo anche del Caucaso meridionale.

Ma dobbiamo aspettare la Rivoluzione perché il Caucaso diventi una regione autonoma all’interno dell’Unione Sovietica.

La Repubblica Federativa Democratica Transcaucasica, formata da Georgia, Armenia e Azerbaigian, dichiara l’indipendenza dall’Unione Sovietica, salvo poi venire riconquistata dopo 3 anni dall’Armata Rossa. Il Caucaso viene quindi diviso in cinque repubbliche socialiste sovietiche: Armenia, Azerbaigian, Georgia, Ossezia del Nord e Cecenia, che si dissolvono alla dissoluzione della stessa Unione Sovietica.

Tra il 1992 e il 1994 scoppia la guerra di Nagorno-Karabakh. Il conflitto si svolge tra l’Azerbaigian e l’Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh, una regione abitata da una maggioranza armena. La guerra termina con una vittoria dell’Armenia, che ottiene il controllo del Nagorno-Karabakh.

1994-1996: La prima guerra cecena è un conflitto tra la Russia e la Cecenia, una repubblica autonoma all’interno della Federazione Russa. La guerra termina con una vittoria della Russia, che ottiene il controllo della Cecenia. La seconda guerra cecena invece inizia nel 1999 e termina nel 2000, confermando la Russia come vittoriosa.

Abbiamo poi il conflitto tra Ossezia del Sud e Azerbaigian, che si risolve con la vittoria dell’Ossezia del Sud. Similmente, nel 2008 c’è la guerra in Georgia, un conflitto tra la Georgia e le due repubbliche separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, che vengono infine controllate dalla Russia.

Nella memoria di chi ha seguito le cronache negli anni ‘90 c’è ben stampato qualcuno di questi conflitti. Non possiamo dire che hanno avuto la stessa rilevanza di cronaca, e non possiamo dire che ebbero minimamente la stessa attenzione che adesso sta riscuotendo il conflitto in Ucraina.

La cosa ci faccia pensare a come cambiano i tempi, e a come gli scenari internazionali sono sempre infinitamente interpretabili.

Abbiamo il mellotron, il sitar e il clavicembalo elettrico. No, non è una barzelletta, ma l’organico strumentale di Strawberry Fields. 

La canzone è anche famosa per il suo sound distintivo, creato accidentalmente durante la produzione, e diventato traccia indelebile per future psichedelie.

“Strawberry Fields Forever” è stata una pietra miliare nella carriera dei Beatles e ha segnato una svolta nella loro musica, aprendo la strada a esperimenti sonori più complessi nei loro successivi lavori. Ma il vero motivo per cui vi sto parlando di Strawberry Fields non è un Amarcord della mia adolescenza, bensì un pretesto per parlare di una tecnica che mi ha sempre affascinato: oggi parliamo del flanging.

Flanging

La tecnica di registrazione tramite flanging è un effetto sonoro ottenuto attraverso l’uso di due copie dello stesso segnale audio, leggermente sfasate e quindi messe insieme. Questa tecnica è stata sviluppata negli anni ’60 utilizzando apparecchiature analogiche, come i registratori a bobina e i mixer a nastro.

Qui il segnale audio originale viene diviso in due: uno viene mandato direttamente al mixer, mentre l’altro passa attraverso un dispositivo chiamato “unità di flanging”. 

Questa unità di flanging modifica il pitch del segnale in uscita in modo periodico, creando un effetto di “chiara-oscuro” o di “ondulazione” nel suono. A questo punto il segnale flangiato viene mescolato con il segnale originale. Lo sfasamento genera un’interferenza tra i due segnali che causa delle variazioni nel suono, generando un effetto distintivo che sembra un “vortice” o una “rotazione” nel campo stereo. 

Come controllare il flanging

L’effetto di flanging può essere controllato variando la velocità e la profondità dello sfasamento del segnale, permettendo di ottenere differenti risultati sonori. Potete sbizzarrirvi con strumenti e contesti diversi. Oggi, poi, gli strumenti digitali consentono di applicare tutto a qualsiasi cosa, rendendo secondo me un po’ più noiosa la fruizione.

Ma a me piace ricordare come nascono le cose, e quanto contava in epoca analogica l’invenzione di un nuovo sound.

Per i più giovani in sala: oggi mi son svegliato pedagogo e vorrei spiegare in termini semplici uno dei concetti più basilari per chi si avvicina al mondo della finanza: la differenza tra azioni e obbligazioni.

Azioni

Un’azione rappresenta una quota di proprietà in una società. Quando una persona acquista un’azione di una società diventa un azionista e ha diritto a una parte dei profitti e dei diritti decisionali all’interno dell’azienda. Le azioni sono generalmente emesse da società che operano come società per azioni o società quotate in borsa. L’obiettivo principale degli investitori che acquistano azioni è ottenere un ritorno finanziario attraverso l’aumento del valore delle azioni o i dividendi distribuiti dalla società.

Gli azionisti possono partecipare alle assemblee generali degli azionisti e hanno il diritto di votare su questioni aziendali importanti, come la nomina dei membri del consiglio di amministrazione o le decisioni strategiche dell’azienda. Inoltre, gli azionisti possono beneficiare del successo finanziario dell’azienda se il valore delle azioni aumenta nel tempo.

Obbligazioni

Un’obbligazione, al contrario, rappresenta un debito emesso da un’entità, che può essere un governo, una società o una istituzione finanziaria. Quando un investitore acquista un’obbligazione, in pratica sta prestando denaro a tale entità. L’entità emittente si impegna a restituire l’importo prestato, noto come capitale o valore nominale dell’obbligazione, insieme a un interesse concordato entro una data di scadenza stabilita.

Le obbligazioni sono considerate titoli di debito e rappresentano un impegno vincolante per l’entità emittente di restituire il capitale e pagare gli interessi ai detentori delle obbligazioni. Gli interessi possono essere pagati periodicamente, ad esempio su base semestrale o annuale, e possono essere a tasso fisso o variabile, a seconda delle condizioni dell’obbligazione.

Le obbligazioni sono spesso considerate strumenti finanziari più sicuri rispetto alle azioni, poiché l’entità emittente ha l’obbligo contrattuale di rimborsare il capitale e pagare gli interessi. Tuttavia, il rendimento delle obbligazioni può essere inferiore rispetto a quello delle azioni, poiché il rischio associato alle obbligazioni è generalmente considerato inferiore.

Gus Van Sant è un regista noto per la sua audace sperimentazione cinematografica e la sua capacità di sfidare le norme tradizionali del cinema. Con una carriera che spazia dal cinema indipendente alle produzioni hollywoodiane, Van Sant ha dimostrato di essere un cineasta eclettico e innovatore. In questo articolo, esploreremo la vita, la carriera e lo stile distintivo di Gus Van Sant.
Una Carriera Eclettica
Gus Van Sant è nato il 24 luglio 1952 a Louisville, Kentucky, e ha iniziato la sua carriera nel cinema come regista indipendente. Il suo primo lungometraggio, “Mala Noche” (1985), è diventato un classico del cinema queer indipendente. Il film, girato in bianco e nero con un budget limitato, ha attirato l’attenzione per la sua rappresentazione cruda della vita notturna di Portland, Oregon.
Dopo il successo di “Mala Noche,” Van Sant ha continuato a dirigere film indipendenti, tra cui “Drugstore Cowboy” (1989) e “My Own Private Idaho” (1991). Questi film hanno consolidato la sua reputazione come regista audace e innovatore nel panorama del cinema indipendente.
Tuttavia, Van Sant ha anche lavorato in produzioni hollywoodiane, dirigendo film come “Good Will Hunting” (1997), che ha fruttato a Matt Damon e Ben Affleck l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale. Questa commedia drammatica ha dimostrato la versatilità di Van Sant come regista, mostrando la sua abilità nel dirigere storie di cuore e intelligenza.
Uno dei punti salienti della carriera di Van Sant è stato “Elephant” (2003), un film che affronta il tema della violenza nelle scuole e si ispira ai tragici eventi della sparatoria alla Columbine High School. Il film è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes ed è stato elogiato per il suo stile sperimentale e la sua rappresentazione di una giornata scolastica attraverso diversi punti di vista.
Sperimentazione Cinematografica
La sperimentazione cinematografica è un elemento chiave dello stile di Gus Van Sant. Nel corso della sua carriera, ha utilizzato una varietà di tecniche e stili visivi per raccontare le sue storie in modi non convenzionali. Ad esempio, “Gerry” (2002) e “Last Days” (2005) presentano lunghi piani sequenza e una narrazione lenta, catturando l’atmosfera e l’esperienza dei personaggi in modo unico.
In “Elephant,” Van Sant ha adottato un approccio pseudo-documentaristico, con una regia che sembra fluire senza soluzione di continuità attraverso gli spazi della scuola. Questo stile permette allo spettatore di immergersi completamente nella storia e di comprendere l’angoscia e la confusione dei personaggi.
Un altro esempio di sperimentazione di Van Sant è “Milk” (2008), una biografia del politico e attivista gay Harvey Milk. Il film è stato girato con una sensibilità che cattura l’epoca degli anni ’70 e il movimento per i diritti LGBTQ, offrendo uno sguardo autentico sulla vita di Milk.

Mi sembra difficile valutare la portata effettiva di questa industria in termini assoluti. 

Stiamo cavando il sangue da una rapa? Oppure l’industria dei giornali è ancora in piedi e, nonostante tutto, si difende meglio rispetto ad altre industrie dei media? 

Qualcosa di interessante ce lo dice il report di Wan-Ifra, l’associazione degli editori di notizie che rappresenta circa 18.000 pubblicazioni in 120 paesi. Un report che fotografa lo stato attuale dell’industria dei giornali.

La stampa nel 2022

Il valore dei ricavi globali della stampa cartacea nel 2022 è stimato a 130,02 miliardi di dollari, un dato che comprende sia i ricavi derivanti da giornali e riviste quotidiani e settimanali, sia quelli digitali che cartacei, derivanti sia dalla diffusione che dalla pubblicità. Sono inclusi anche “altri flussi di entrate”, che considerano attività come l’e-commerce, l’organizzazione di eventi e il marketing editoriale per conto terzi.

Per avere un’idea delle proporzioni rispetto ad altri media, consideriamo i ricavi globali del 2022. I 130 miliardi di dollari superano di cinque volte i ricavi dell’industria discografica, stimati in 26,2 miliardi di dollari (in crescita dopo il collasso dei primi anni Duemila), e i ricavi del Box Office, stimati in 25,9 miliardi di dollari (in lenta ripresa ma ancora lontani dai più di 40 miliardi di dollari pre-pandemia). 

Inoltre, si avvicinano molto al mercato globale delle Pay TV, stimato in 151 miliardi di dollari, e rappresentano poco più della metà dei ricavi dei videogiochi, stimati da PwC in 235,7 miliardi di dollari.

Nel dettaglio, i ricavi globali derivanti dalla diffusione ammontano a 61,5 miliardi di dollari, rappresentando la voce più significativa (47%) dei ricavi totali. La pubblicità, invece, vale 53 miliardi di dollari (41%), mentre gli “altri ricavi” ammontano a 15,7 miliardi di dollari (12%). Diversificare il portafoglio, come in altri settoir, è diventata sempre più una necessità.

Nel confronto tra formati cartacei e digitali, il digitale ha un valore complessivo di 22,8 miliardi di dollari (di cui 8,4 miliardi provenienti dalla diffusione e 14,4 miliardi dalla pubblicità), mentre la stampa cartacea raggiunge i 91,7 miliardi di dollari (53,1 miliardi dalla diffusione e 38,6 miliardi dalla pubblicità).

Ricavi del cartaceo

In pratica, la stampa cartacea rappresenta ancora il 70% dei ricavi totali, mentre il digitale rappresenta l’18%. Come già menzionato, gli altri flussi di entrate contribuiscono al 12% complessivo. Rispetto all’anno precedente, i ricavi complessivi sono diminuiti di circa 700 milioni di dollari, una variazione minima corrispondente a circa lo 0,7%. Questo risultato rappresenta una battuta d’arresto per chi si aspettava una crescita, anche se lenta, negli anni successivi alla pandemia. Rispetto al 2021, la stampa cartacea perde 2,8 miliardi di dollari, mentre il digitale “guadagna” 1,3 miliardi di dollari. Tuttavia, a ridurre il saldo negativo nel confronto anno su anno, contribuiscono anche gli “altri flussi di entrata” per un totale di 800 milioni di dollari.

Ma quante persone sono disposte a pagare per le notizie? 

Un dato interessante è il numero di lettori che pagano per accedere alle notizie. Nel 2022, si stima che vi siano 57,6 milioni di lettori paganti digitali e 525,3 milioni di lettori paganti di giornali cartacei. 

Complessivamente, la stampa cartacea perde 23,2 miliardi di dollari (di cui 14,1 miliardi rappresentano minori ricavi pubblicitari sulla stampa), mentre i ricavi digitali guadagnano poco meno di 3 miliardi di dollari, mitigando le perdite solo in minima parte.

“Zanardi” di Andrea Pazienza per Davide Enia, “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry per Franco Branciaroli, “I fratelli Karamazov” per Emma Dante, “Narratore delle pianure” di Gianni Celati per Nanni Moretti, “Oblio” di David Foster Wallace per Liv Ferracchiati e “Infinite Jest” per Antonio Latella sono alcuni dei libri che hanno maggiormente influenzato gli artisti teatrali della prossima stagione del Piccolo Teatro. Questi titoli saranno esposti nel foyer del teatro Grassi, anticipando il tema scelto per il 2023/24: “Il corpo delle parole”.

La fisica delle parole

Il direttore Claudio Longhi promette un’esperienza teatrale profondamente legata alla “fisica delle parole” nel cartellone della nuova stagione del Piccolo Teatro. I romanzi saranno il punto di partenza, iniziando con il ritorno de “Il barone rampante” (Grassi, 27 settembre-8 ottobre) di Italo Calvino, diretto da Riccardo Frati, per celebrare il centenario dello scrittore. Anche Marco Paolini farà ritorno con due serate dedicate al Vajont e il nuovo spettacolo “Boomers”.

La letteratura ispira anche il nuovo lavoro di Emma Dante basato su “Lo cunto de li cunti” di Basile, la rivisitazione di Fahrenheit 451 del collettivo Sotterraneo e il debutto alla regia al Piccolo di Claudio Longhi con “Ho paura torero” di Pedro Lemebel (2001), interpretato da Lino Guanciale, previsto per l’inizio del 2024.

Nanni Moretti si cimenta a teatro

Nanni Moretti debutterà nella regia teatrale con due commedie di Natalia Ginzburg, “Fragola e Panna” e “Dialogo”, riunite sotto il titolo “Diari d’amore” (Grassi, 14-26 novembre). Inoltre, Liv Ferracchiati, artista associato al Piccolo, porterà in scena un testo originale ispirato a “Il gabbiano” di Čechov, mentre Pascal Rambert proporrà “Durante”, il secondo testo del trittico pensato per il Piccolo. Infine, “Bidibibodibiboo”, scritto, diretto e interpretato da Francesco Alberici (vincitore del premio Ubu 2021 come miglior attore/performer), offrirà un ritratto critico del mondo del lavoro nell’era di Amazon.

Uno degli scogli principali a cui va incontro chi si avvicina al teatro per la prima volta è il tipo di recitazione. Abituati alla recitazione naturalistica e sommessa del cinema, spesso troviamo innaturale la declamazione che anche nel linguaggio comune designiamo come “teatrale”.

Vediamo il problema dal punto di vista del dibattito, e poi del dibattito attoriale con particolare attenzione alle opere di Shakespeare.

Le due scuole di pensiero e i successivi movimenti teatrali erano distinti e separati, anche se confusi con le tempistiche storiche e le somiglianze di stile. Di conseguenza, il passaggio a una forma più autentica di dramma sul palcoscenico tra la metà e la fine del XIX secolo è spesso considerato un unico periodo. Se il realismo e il naturalismo nel teatro sono due movimenti, quale dei due è nato prima? 

Una cosa è certa: i melodrammi esagerati e pieni di spettacolo dell’inizio e della metà del XIX secolo sono oggi definitivamente tramontati (anche se a molti poco avvezzi al teatro spesso non sembra così).

In termini di stile, le parole realismo e naturalismo sono spesso erroneamente usate per significare la stessa cosa. 

Sono simili, sì, ma non identiche. Alcuni studiosi si riferiscono al sistema di Stanislavski come premessa per la recitazione naturalistica, mentre altri si riferiscono a questo sistema per la recitazione realistica, giusto per citare un caso comune. La recitazione naturalistica nei drammi naturalistici è diversa dalla recitazione realistica nei drammi realistici. Le esigenze dell’attore sono diverse, sia per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, sia per quanto riguarda gli scenografi, le proprietà e i costumi, sia per quanto riguarda il soggetto, che spesso è diverso.

Tecniche di Realismo e Naturalismo

Il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen è spesso considerato il padre del realismo.

Qui i personaggi sono quotidiani, più afferenti alla commedia che alla tragedia greca (come vorrebbe l’aristotelica definizione). 

Il movimento realista nel teatro e il conseguente stile di rappresentazione hanno influenzato notevolmente il teatro e il cinema del XX secolo e i suoi effetti si fanno sentire ancora oggi.

All’inizio del XX secolo, l’America si è impadronita di questo stile di rappresentazione (realismo americano) e di recitazione.

Le ambientazioni dei drammi realistici sono spesso blande (deliberatamente ordinarie)

i dialoghi non sono amplificati per l’effetto, ma sono quelli di un discorso quotidiano. Inoltre, 

il dramma tende allo psicologico: la trama è secondaria e l’attenzione principale è posta sulla vita interiore dei personaggi.

Recitazione naturalistica

A questo quadro bisogna aggiungere la recitazione di tipo naturalistico, ovvero non declamatoria. Tra gli attori shakespeariani, questo è un dibattito molto diffuso: il crinale è tra il rischio di non piacere per eccessiva pomposità (fedele alla linea) oppure il tradimento dell’altezza del testo originale, pena di un’eccessiva semplificazione.

Il dibattito è ancora aperto, soprattutto su Shakespeare. Mi sentirei di dire che è opportuno, come in ogni ambito procedurale artistico, trovare un common ground. Ma soprattutto, lasciare il giudizio a chi già abilmente si occupa del ruolo di testimone di questo immenso drammaturgo: gli attori.

Le valutazioni economiche e contestuali che si potrebbero fare sono molte, ma stavolta vorrei fare un salto nel tecnico. Qual è la differenza tra intelligenza artificiale forte e intelligenza artificiale debole?

Intelligenza artificiale forte

L’intelligenza artificiale forte, anche conosciuta come IA generale, si riferisce a un tipo di intelligenza artificiale che ha la capacità di comprendere, apprendere e applicare la conoscenza in modo simile agli esseri umani. Questo tipo di IA si presta a qualsiasi compito intellettuale che un essere umano può addossarsi. È dotata di autoconsapevolezza, ragionamento e apprendimento autonomo, ma soprattutto è un concetto integralmente teorico, elaborato solo in seno a un dibattito accademico e mai pienamente realizzato.

Intelligenza Artificiale Debole

L’intelligenza artificiale debole, o IA specifica, è quella che è stata progettata per svolgere compiti specifici e funzioni predefinite senza possedere una vera comprensione o coscienza di sé, come i programmi per generare automaticamente immagini, o ChatGPT, o gli algoritmi in grado di riconoscere le espressioni facciali, e molto altro. Questo tipo di IA è limitato nelle sue capacità e può eseguire solo le attività per cui è stata programmata. Abbiamo anche gli assistenti virtuali come Siri o Alexa, ma anche, per entrare nel mondo più business, i filtri di spam nelle mail.

La differenza principale tra intelligenza artificiale forte e debole risiede nelle loro capacità e nelle loro applicazioni. L’IA forte è teoricamente in grado di eseguire qualsiasi compito intellettuale come un essere umano e possiede autoconsapevolezza, mentre l’IA debole è limitata a compiti e funzioni specifici e non ha una vera comprensione o coscienza di sé.

Detto ciò: a chi interessa principalmente un dibattito che non sia speculativo sulla possibilità di creare l’intelligenza in vitro?

Intendo: siamo davvero così ansiosi di ricreare uno scenario fantascientifico in cui le vecchie professioni vengono spazzate via, le catene di comando iniziano a eludere i sistemi democratici e si tecnicizzano? Siamo sicuri che vogliamo l’arte in mano all’intelligenza artificiale forte?
 

Io probabilmente non vedrò la sua ascesa (dell’IA forte) ma posso vaticinarlo: sarà una rivoluzione tecnologica, e soprattutto sociale.