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Un incubo per gli insegnanti, forse, alle prese con le nuove prescrizioni anti-contagio.

Un nuovo incubo, per meglio dire, perché già si erano trovati alle prese con le nuove sfide educative della didattica a distanza.

Sembra che sia stata mal digerita da quegli alunni più attivi, che hanno continuato a usare i propri telefoni durante la lezione, indisturbati.

E le verifiche e le interrogazioni? Con i riassunti appesi ai lati dello schermo del computer, ovviamente.

Difficile tracciare una statistica basandosi su dati percepiti come questi, però mi immagino, bambino, davanti a uno schermo che abitualmente uso per giocare.

Nulla potrebbe trattenermi, se mi è possibile, dal giocarci ancora, anceh se inizia la scuola.

Già la lezione frontale non era, da bambini, una delle modalità più entusiasmanti che ci fossero.

Oggi la didattica era quasi riuscita a ovviare all’impedimento del “faccia a faccia” e all’incredibile noia che questo solitamente porta con sé, per i meno adulti.

I laboratori, le lezioni interattive, le visite didattiche… Basta guardarmi intorno, e non c’è parco che non ospiti gite orientate alla botanica, non c’è fattoria che non sia anche “fattoria didattica”.

Insomma, questi bambini si erano appena affrancati dalla frontalità, che subito ci sono ricascati, e attraverso un canale molto più distraente: il video.

Penso che un diverso discorso valga per gli adulti. Io personalmente mi trovo molto incentivato a seguire un video che spiega dei concetti, anche complessi.

Non vi trovo poi così tanta differenza da una vera e propria lezione frontale. 

Va detto che in una persona della mia età le naturali inclinazioni hanno ormai un ruolo marginale: la mia generazione è abituata a leggere testi complessi, a scriverne, e forse siamo stati gli ultimi prima del calo inesorabile delle capacità di scrittura che gli insegnanti di lettere unanimamente lamentano.

Quindi, in conclusione: da insegnante, magari avrei sofferto per il ritorno sui banchi. Da bimbo, ne sarei stato immensamente felice.

Alma Mater è diventato termine che si riferisce alla propria università di appartenenza. a prima di diventare espressione idiomatica, l’Alma Mater Studiorum è l’Università di Bologna.

Il corso di intelligenza artificiale

Curioso che la prima Università del mondo sia anche la prima a delegare alle macchine l’intelligenza. In Italia, chiaramente, non nel mondo, al quale spesso in quest’epoca ci accodiamo per quanto riguarda le scoperte scientifiche e l’innovazione tecnologica.

Studiata in matematica e in informatica, l’intelligenza artificiale non aveva ancora avuto un corso di laurea dedicato. Anche se le indiscrezioni parlano già dell’anno prossimo, non ho modo di prevederlo non conoscendo nessuno in ambiente accademico bolognese.

Attendiamo la cronaca

Attendendo le cronache per avere notizie più certe, possiamo però fare delle speculazioni su questo uovo corso di laurea, o meglio dar forma a delle aspettative.

Quella più pittoresca che ho in questo momento riguarda i robot. Se l’intelligenza artificiale prevederà anche applicazioni pratiche, quale più d’impatto e immediata del robot che comunica con gli studenti? O se non un vero e proprio robot, visto che la robotica è una scienza che occupa molte energie ed è forse più tecnica e da prima linea piuttosto che materia di studio universitario univoco (ma forse), almeno una chat addestrata a rispondere a commenti umani in modo intelligente, sembrando umanoide, almeno a un primo impatto.

“Il corso di laurea sull’IA sarà attivato dal dipartimento di Informatica-Scienza e Ingegneria. Sarà completamente in lingua inglese e si concentrerà sulle discipline fondanti e applicative dell’intelligenza artificiale. Ci sarà però spazio anche per tematiche trasversali come le neuroscienze cognitive e le implicazioni etiche e sociali delle nuove tecnologie. Tra gli argomenti previsti dal piano di studi: visione artificiale, trattamento del linguaggio naturale, data science, ottimizzazione, sistemi di supporto alle decisioni.
Gli iscritti, una volta conseguita la laurea, potranno fregiarsi della qualifica di “specialisti in Artificial Intelligence”: figure tecniche altamente specializzate, con conoscenze informatiche e competenze specifiche su questo argomento, capaci di affrontare la progettazione, la realizzazione e la gestione di prodotti e servizi innovativi. Il mercato del lavoro, infatti, nei prossimi anni si avvia ad una profonda trasformazione. Un cambiamento epocale che coinvolgerà moltissimi ambiti – dai trasporti alla domotica, dalla medicina all’istruzione, dalla sicurezza al mercato dell’intrattenimento – e che la laurea già considera come campi di applicazione”. (fonte)

In mezzo a tempi difficili per la pubblica scuola italiana, qualche riconoscimento internazionale arriva, e non indispone i già esacerbati critici del nostro sistema educativo.

I mondiali della robotica della Nasa sono stati vinti da tre scuole italiane, e questa è la notizia importante ma non la sola.

La Zero Robotics

La Zero Robotics è forse la principale competizione mondiale di robotica per studenti, voluta dalla Nasa e dall’università di Boston, che della sinergia tra queste due grandi realtà scientifiche ha fatto un obiettivo condivisibile anche da uno degli organismi con più potenziale scientifico, anche se spesso mal sfruttato: la scuola.

E quindi il viaggio di questi giovanissimi guidati di loro professori è iniziato tra i banchi, per finire negli States. Cinque mesi di sfide, 180 scuole partecipanti.

Un podio tutto italiano

Obiettivo della simulazione finale: manovrare delle micro sonde in ambiente di microgravità, a bordo della Stazione spaziale internazionale.

Sul podio il liceo Avogadro di Vercelli, seguito dal Cecioni di Livorno e dall’Istituto Tecnico Righi di Napoli. E’ proprio su quest’ultimo che spenderei qualche parola in più, innanzi tutto perché credo che gli istituti tecnici in Italia siano usciti un po’ dall’alone di discredito che vigeva forse più nella mia epoca storica. Un ottimo istituto tecnico, mi dicono rinomato in città e che garantisce un buon profilo di preparazione. Che ha anche portato a casa un riconoscimento internazionale non da poco, con questi mondiali di robotica.

Il caso che l’aveva coinvolto qualche tempo riguardava la carenza di fondi. Senza i fondi, lo sappiamo, non si viaggia fino agli States, che non sono proprio una rituale meta da gita scolastica.

Solidarietà scientifica e umana

Un vero e proprio appello, quello della scuola, a chiunque fosse disposto a donare per la causa degli studenti. Una causa scientifica, ma anche e soprattutto umana. E questo credo che sia l’aspetto più toccante, il sommovimento di energie di esterni, che per l’ambizioso progetto di un gruppo di giovani promesse mette a disposizione il proprio denaro e tempo.

Un ringraziamento ai professori, ai donatori, e un grande plauso alla bravura dei nostri ragazzi!