Il reportage non ha mai appartenuto a questo prolifico scrittore, ma possiamo dire che quantomeno l’idea di documentazione gli sia sorta, a un certo punto della vita. A dispetto di quanto lo denigrano per la sua mancanza di schieramento politico esplicito, va detto che Anton Checov decise a un certo punto di intraprendere un viaggio nell’isola di Sachalin, colonia penale nelle acque del Giappone, dal lato opposto della Russia rispetto a quello nel quale viveva.

Giunge dopo un viaggio della speranza a Alexandrovsk, capitale amministrativa dell’isola, nella quale si trovano ben 5 colonie penali. Una volta scontata la condanna, gli ex condannati sono obbligati a rimanere nell’isola come coloni. La scusa ufficiale di Checov è fare un censimento dei condannati, quindi tenta l’approccio con i residenti affermando che intende raccogliere dati statistici.

Raccoglie circa diecimila schede. Le sue impressioni sull’isola sono disastrose: i forzati, abbruttiti dalla fatica, dalle percosse e dall’alcool, trascinano se stessi e le famiglie per le strade. I bambini, che vivono nell’assenza di istruzione, sono già corrotti sin da piccoli.

L’impressione che Checov ricaverà da questa isola è di estrema desolazione. Un paesaggio ansiogeno, che rimarrà impresso nella sua memoria. Non scrisse subito la cronaca del viaggio, esseno gravato dalle spese famigliari che gli imposero di scrivere immediatamente dopo il suo ritorno i due racconti “Gurev” e “il duello”. Per Sachalin farà una cospicua donazione al fondo per la lotta all’analfabetismo, imponendo di destinare centinaia di volumi all’isola.

“L’isola di Sachalin” uscirà due anni dopo, in seguito a lunga meditazione e revisione. Nell’intermezzo Checov farà anche un viaggio in Italia, per disintossicarsi dall’impressione misera che la colonia penale ebbe su di lui.

Ed eccoci infine al suo viaggio nella nostra penisola.