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Gus Van Sant è un regista noto per la sua audace sperimentazione cinematografica e la sua capacità di sfidare le norme tradizionali del cinema. Con una carriera che spazia dal cinema indipendente alle produzioni hollywoodiane, Van Sant ha dimostrato di essere un cineasta eclettico e innovatore. In questo articolo, esploreremo la vita, la carriera e lo stile distintivo di Gus Van Sant.
Una Carriera Eclettica
Gus Van Sant è nato il 24 luglio 1952 a Louisville, Kentucky, e ha iniziato la sua carriera nel cinema come regista indipendente. Il suo primo lungometraggio, “Mala Noche” (1985), è diventato un classico del cinema queer indipendente. Il film, girato in bianco e nero con un budget limitato, ha attirato l’attenzione per la sua rappresentazione cruda della vita notturna di Portland, Oregon.
Dopo il successo di “Mala Noche,” Van Sant ha continuato a dirigere film indipendenti, tra cui “Drugstore Cowboy” (1989) e “My Own Private Idaho” (1991). Questi film hanno consolidato la sua reputazione come regista audace e innovatore nel panorama del cinema indipendente.
Tuttavia, Van Sant ha anche lavorato in produzioni hollywoodiane, dirigendo film come “Good Will Hunting” (1997), che ha fruttato a Matt Damon e Ben Affleck l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale. Questa commedia drammatica ha dimostrato la versatilità di Van Sant come regista, mostrando la sua abilità nel dirigere storie di cuore e intelligenza.
Uno dei punti salienti della carriera di Van Sant è stato “Elephant” (2003), un film che affronta il tema della violenza nelle scuole e si ispira ai tragici eventi della sparatoria alla Columbine High School. Il film è stato premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes ed è stato elogiato per il suo stile sperimentale e la sua rappresentazione di una giornata scolastica attraverso diversi punti di vista.
Sperimentazione Cinematografica
La sperimentazione cinematografica è un elemento chiave dello stile di Gus Van Sant. Nel corso della sua carriera, ha utilizzato una varietà di tecniche e stili visivi per raccontare le sue storie in modi non convenzionali. Ad esempio, “Gerry” (2002) e “Last Days” (2005) presentano lunghi piani sequenza e una narrazione lenta, catturando l’atmosfera e l’esperienza dei personaggi in modo unico.
In “Elephant,” Van Sant ha adottato un approccio pseudo-documentaristico, con una regia che sembra fluire senza soluzione di continuità attraverso gli spazi della scuola. Questo stile permette allo spettatore di immergersi completamente nella storia e di comprendere l’angoscia e la confusione dei personaggi.
Un altro esempio di sperimentazione di Van Sant è “Milk” (2008), una biografia del politico e attivista gay Harvey Milk. Il film è stato girato con una sensibilità che cattura l’epoca degli anni ’70 e il movimento per i diritti LGBTQ, offrendo uno sguardo autentico sulla vita di Milk.

Mi sembra difficile valutare la portata effettiva di questa industria in termini assoluti. 

Stiamo cavando il sangue da una rapa? Oppure l’industria dei giornali è ancora in piedi e, nonostante tutto, si difende meglio rispetto ad altre industrie dei media? 

Qualcosa di interessante ce lo dice il report di Wan-Ifra, l’associazione degli editori di notizie che rappresenta circa 18.000 pubblicazioni in 120 paesi. Un report che fotografa lo stato attuale dell’industria dei giornali.

La stampa nel 2022

Il valore dei ricavi globali della stampa cartacea nel 2022 è stimato a 130,02 miliardi di dollari, un dato che comprende sia i ricavi derivanti da giornali e riviste quotidiani e settimanali, sia quelli digitali che cartacei, derivanti sia dalla diffusione che dalla pubblicità. Sono inclusi anche “altri flussi di entrate”, che considerano attività come l’e-commerce, l’organizzazione di eventi e il marketing editoriale per conto terzi.

Per avere un’idea delle proporzioni rispetto ad altri media, consideriamo i ricavi globali del 2022. I 130 miliardi di dollari superano di cinque volte i ricavi dell’industria discografica, stimati in 26,2 miliardi di dollari (in crescita dopo il collasso dei primi anni Duemila), e i ricavi del Box Office, stimati in 25,9 miliardi di dollari (in lenta ripresa ma ancora lontani dai più di 40 miliardi di dollari pre-pandemia). 

Inoltre, si avvicinano molto al mercato globale delle Pay TV, stimato in 151 miliardi di dollari, e rappresentano poco più della metà dei ricavi dei videogiochi, stimati da PwC in 235,7 miliardi di dollari.

Nel dettaglio, i ricavi globali derivanti dalla diffusione ammontano a 61,5 miliardi di dollari, rappresentando la voce più significativa (47%) dei ricavi totali. La pubblicità, invece, vale 53 miliardi di dollari (41%), mentre gli “altri ricavi” ammontano a 15,7 miliardi di dollari (12%). Diversificare il portafoglio, come in altri settoir, è diventata sempre più una necessità.

Nel confronto tra formati cartacei e digitali, il digitale ha un valore complessivo di 22,8 miliardi di dollari (di cui 8,4 miliardi provenienti dalla diffusione e 14,4 miliardi dalla pubblicità), mentre la stampa cartacea raggiunge i 91,7 miliardi di dollari (53,1 miliardi dalla diffusione e 38,6 miliardi dalla pubblicità).

Ricavi del cartaceo

In pratica, la stampa cartacea rappresenta ancora il 70% dei ricavi totali, mentre il digitale rappresenta l’18%. Come già menzionato, gli altri flussi di entrate contribuiscono al 12% complessivo. Rispetto all’anno precedente, i ricavi complessivi sono diminuiti di circa 700 milioni di dollari, una variazione minima corrispondente a circa lo 0,7%. Questo risultato rappresenta una battuta d’arresto per chi si aspettava una crescita, anche se lenta, negli anni successivi alla pandemia. Rispetto al 2021, la stampa cartacea perde 2,8 miliardi di dollari, mentre il digitale “guadagna” 1,3 miliardi di dollari. Tuttavia, a ridurre il saldo negativo nel confronto anno su anno, contribuiscono anche gli “altri flussi di entrata” per un totale di 800 milioni di dollari.

Ma quante persone sono disposte a pagare per le notizie? 

Un dato interessante è il numero di lettori che pagano per accedere alle notizie. Nel 2022, si stima che vi siano 57,6 milioni di lettori paganti digitali e 525,3 milioni di lettori paganti di giornali cartacei. 

Complessivamente, la stampa cartacea perde 23,2 miliardi di dollari (di cui 14,1 miliardi rappresentano minori ricavi pubblicitari sulla stampa), mentre i ricavi digitali guadagnano poco meno di 3 miliardi di dollari, mitigando le perdite solo in minima parte.

Viviamo in un momento storico di inflazione, e quindi è il momento: è il momento per tutti coloro che mai si sono informati di finanza di entrare in contatto con alcuni termini fondamentali quantomeno per capire cosa sta succedendo alle Borse, all’economia reale e anche alla nostra vita quotidiana. 

Significato

“Fiscal drag” è un termine economico che si riferisce all’effetto negativo della crescita dei salari e dell’inflazione sulle entrate fiscali dello Stato. In sostanza, quando i salari e l’inflazione aumentano, le persone possono trovarsi in fasce di reddito più elevate, il che può portare a un aumento delle imposte pagate al governo. Tuttavia, se le tasse e le detrazioni fiscali non vengono aggiornate per tener conto di questi cambiamenti, le persone potrebbero finire per pagare una percentuale maggiore del loro reddito in tasse rispetto a prima, rallentando così la crescita economica.

Esempio pratico

Immagina che il tuo salario annuale sia di 35.000 euro e che tu sia soggetto a un’aliquota fiscale del 20%. Supponiamo che l’aliquota fiscale aumenti al 25% per redditi superiori a 40.000 euro. Se ricevi un aumento salariale del 10%, il tuo salario annuale passerebbe a 38.500 euro e continueresti a pagare il 20% di tasse.

Tuttavia, se l’inflazione aumenta e il tuo salario viene adeguato di conseguenza, potresti superare la soglia dei 40.000 euro. Ad esempio, se il tuo salario venisse adeguato del 15% per tener conto dell’inflazione, il tuo salario annuale salirebbe a 40.250 euro, spingendoti nella fascia di reddito superiore e aumentando la tua aliquota fiscale al 25%. In questo caso, avresti un maggiore onere fiscale a causa dell’effetto del fiscal drag.

Come ridurre l’impatto del fiscal drag

Per ridurre l’impatto del fiscal drag, i governi possono adeguare le fasce di reddito e le detrazioni fiscali in base all’inflazione e alla crescita salariale, in modo da evitare che un numero eccessivo di contribuenti si trovi in fasce di reddito più elevate e paghi aliquote fiscali più elevate.

Credit Suisse è una delle maggiori banche svizzere, e fin qui ci siamo. L’argomento su cui invece sento molta disinformazione è il motivo per cui Credit Suisse è balzata agli onori della cronaca.

Quindi, fatemi fare il divulgatore cheap e spiegare brevemente com’è andata la faccenda, prima che inizino a consolidarsi le teorie e le retrospettive, e quindi prima che raccontare una banale storiella come questa risulti insufficiente alla comprensione della situazione. 

Le vicende di Credit Suisse

Credit Suisse è stata interessata da una perdita di fiducia da parte dei suoi azionisti. 

Non possiamo non menzionare il suo coinvolgimento in Greensill Capital, una società di finanziamento della supply chain che già nel marzo 2021 aveva presentato istanza di fallimento. Quando Greensill ha iniziato a scricchiolare, Credit Suisse si è trovata esposta, e il prezzo delle azioni è crollato.

Ma abbiamo anche la multa del 2019, per un totale di 135 milioni di dollari, da parte delle autorità di regolamentazione statunitensi per il suo coinvolgimento in uno scandalo in Mozambico. 

Poi, le dimissioni dell’amministratore delegato, Tidjane Thiam, a dimettersi. Infine, gli obiettivi soprattutto dell’investment banking, che non sono stati raggiunti.

In risposta, Credit Suisse ha intrapreso un’importante opera di ristrutturazione. Questo ha comportato il taglio dei costi, la riduzione dell’organico e la rifocalizzazione dell’attività sui suoi punti di forza principali. Dopo la partenza di Thiam, la banca ha anche dovuto trovare un nuovo CEO, che sarà l’ex CEO di Lloyds Banking Group António Horta-Osório, assunto nell’aprile 2021.

Credit Suisse oggi

Ma cos’è successo oggi? C’è qualche relazione con il recente problema che ha avuto SVP (Silicon Valley Bank)?

Oggi il grosso problema è stato che Credit Suisse ha dichiarato che prenderà in prestito fino a 50 miliardi di franchi svizzeri (53,7 miliardi di dollari) dalla Banca Nazionale Svizzera, dopo che le sue azioni sono crollate fino al 30%. Ha inoltre dichiarato che riacquisterà parte del proprio debito.

Il motivo della difficoltà, oltre a quanto detto sopra sulle precedenti occasioni che hanno portato a un generico mistrust da parte degli investitori, è anche dato dalla congiuntura storica.

Le banche centrali di tutto il mondo hanno aumentato i tassi di interesse per cercare di rallentare l’inflazione aumentando il costo del denaro, ma ciò ha indirettamente destabilizzato le banche in generale.

Per quanto riguarda la somiglianza tra i problemi che hanno affossato SVB e quelli di Credit Suisse, non possiamo dire né che siano simili né che siano direttamente correlati – se non per il fatto che è in generale aumentata la vulnerabilità del settore finanziario.

Inutile elencare le opere shakespeariane più famose… Ognuno avrà il proprio canone, la propria antologia di idilli, citazioni, spettacoli teatrali visti. Ognuno vorrà dire qualcosa di diverso e soggettivo. 

Di una sola cosa sono sicuro: nessuno citerà tra le opere shakespeariane più famose il Coriolano.

Un peccato, perché c’è tanto materiale in questa opera per discutere e raccogliere bei momenti teatrali e di sceneggiatura.

Oggi vi racconto la trama del Coriolano. Così, per sfida. 

Di cosa parla il Coriolano di Shakespeare

Menenio cerca di calmare un ammutinamento tra i cittadini romani per il modo in cui sono stati trattati dai nobili. Il suo amico Caio Marzio li tratta con disprezzo e i cittadini si disperdono. L’atteggiamento di Marzio suscita l’ira dei tribuni Sicinio e Bruto.

Arriva la notizia che i Volsci sono in armi sotto Aufidio, inviato ad attaccare Roma. Volumnia e Virgilia discutono con orgoglio delle precedenti imprese di Marzio e ricevono la visita di Valeria, che riferisce dell’arrivo di Marzio nella città volsca di Corioles. I generali Comenio e Tito Larzio attaccano. Marzio è protagonista di diverse schermaglie e di uno scontro tra lui e Aufidio, al termine del quale Corioles viene catturata. Per il suo ruolo nella battaglia, Marzio riceve il titolo onorifico di Coriolano.

Coriolano torna a Roma, dove incontra la sua famiglia e si ritrova candidato alla carica di console. Affinché la candidatura sia valida, deve presentarsi umilmente al popolo e ottenere i suoi voti, compito che svolge a malincuore. Il popolo gli dà i suoi voti, ma Bruto e Sicinio lo dipingono come nemico del popolo e questo fa cambiare l’opinione comune che si ha su di lui. Quando questo viene riferito a Coriolano, egli non riesce a contenere la sua rabbia; parla contro il popolo e viene accusato di essere un traditore. Un violento scontro lo costringe ad andarsene. Dopo essere stato consigliato dalla famiglia e dagli amici, torna a incontrare il popolo, con l’intenzione di parlare in modo mite, ma non riesce a controllarsi di fronte ai loro scherni e viene bandito. Volumnia rivolge parole dure ai tribuni.     

Nel frattempo i Volsci hanno ripreso le armi. Coriolano va a offrire i suoi servigi ad Aufidio, che lo accoglie. Quando la notizia di questa alleanza arriva a Roma, si scatena il panico e il popolo comincia a pentirsi di ciò che ha fatto. Inviano suppliche per chiedere a Coriolano di risparmiare Roma. Egli respinge gli approcci di Cominio e Menenio, ma alla fine cede a Volumnia, Virgilia, Valeria e Giovane Marzio.

Nel frattempo, la popolarità di Coriolano cresce tra i volsci, con grande disappunto di Aufidio. Si riunisce con un gruppo di cospiratori e, al ritorno di Coriolano, viene nuovamente chiamato traditore e ucciso. Aufidio si pente immediatamente delle sue azioni e i volsci si preparano a dargli un nobile funerale.

Alla luce del recente quanto piuttosto inaspettato successo dell’Argentina ai mondiali di calcio in Qatar, vorrei fare qualcosa di insolito: ripercorrere i successi di questo Paese, così martoriato economicamente e politicamente, ai mondiali precedenti. Potrei diversamente produrmi in un mio commento sulla vittoria, ma come sempre credo empiricamente che i fatti ci aiuti a meglio comprendere la realtà, a volte più di spiegazioni posticce e dense di una finta capacità previsionale.

1930 – Uruguay

Siamo alla prima Coppa del Mondo di calcio a marchio FIFA. L’Argentina raggiunge la finale e perde il titolo contro l’Uruguay. L’ultimo gol è stato segnato da Héctor Castro, che all’epoca era conosciuto come il Divino Manco (letteralmente “monco divino”) per il braccio che gli era stato amputato da una motosega all’età di 13 anni.

1934 – Italia

Trionfa l’Italia, battendo la Cecoslovacchia in finale.

L’Argentina viene eliminata nella prima partita dalla Svezia.

1938 – Francia

L’Argentina decide di non partecipare dopo aver perso la corsa come paese ospitante.

L’Italia batte l’Ungheria e conquista nuovamente la finale.

1950 – Brasile

L’Argentina è di nuovo assente. Domina l’Uruguay.

1954 – Svizzera

L’Argentina sceglie di non partecipare per la terza edizione consecutiva. Vince la Repubblica Federale Tedesca contro l’Ungheria, capitanata da Ferenc Puskas.

1958 – Svezia

L’Argentina torna alla Coppa del Mondo ma viene eliminata al primo turno dalla Cecoslovacchia.

Pelé ha 17 anni e già guida la sua squadra nazionale. Vince il Brasile.

1962 – Cile

La squadra argentina viene nuovamente eliminata al primo turno.

1966 – Inghilterra

L’Argentina viene eliminata ai quarti di finale in una partita molto discussa per via dell’espulsione anticipata di Antonio Rattín.

Vince l’Inghilterra.

1970 – Messico

L’Argentina è esclusa dalla Coppa del Mondo per motivi sportivi. Parliamo di un mondiale importantissimo perché formalizza alcune regole poi divenute simboliche: il pallone a esagoni bicolori, più facilmente visibile nelle televisioni in bianco e nero, va a sostituire il classico pallone in cuoio scuro. Inoltre, sono previste per la prima volta ammonizioni ed espulsioni.

1974 – Germania

L’Argentina guadagna un ultimo posto nel girone della fase finale.

1978 – Argentina

Il capitano Passarella è il primo argentino a sollevare la Coppa del Mondo.

1982 – Spagna

In questo mondiale che tutti ricordiamo come un trionfo italiano, l’Argentina arriva da campione in carica con una squadra rafforzata da Diego Armando Maradona, già campione con il Boca e venduto al Barcellona.

La squadra argentina si ritira dal torneo nel secondo girone, con la sconfitta del Brasile e Maradona espulso.

1986 – Messico

L’Argentina vince con con l’assist di Diego Armando Maradona per il terzo e decisivo gol nel 3-2 finale contro la Germania, segnato da Jorge Burruchaga.

1990 – Italia

In semifinale, allo stadio San Paolo di Napoli, l’Argentina elimina l’Italia ai rigori.

Vince la Germania. 

 1994 – Stati Uniti

L’Argentina perde contro la Bulgaria nell’ultima partita del suo girone e poi contro la Romania agli ottavi di finale.

1998 – Francia

L’Argentina si presenta con una squadra la cui stella principale era Gabriel Batistuta, il primo argentino a segnare due triplette in Coppa del Mondo.

Segue l’eliminazione agli ottavi di finale per l’espulsione di Ariel Ortega dopo aver aggredito il portiere olandese con una testata.

2002 – Corea del Sud e Giappone

L’Argentina perde al primo turno.

2006 – Germania

La vittoria dell’Italia non mette in ombra un promettente 19enne Lionel Messi, che consente all’Argentina di raggiungere i quarti di finale.

2010 – Sudafrica

Diego Maradona veste i panni di allenatore e porta la squadra alla soglia dei quarti di finale.

2014 – Brasile

Una finale combattutissima ci mostra un’Argentina matura e pronta a rivaleggiare con i più grandi al mondo.

2018 – Russia

L’Argentina raggiunge gli ottavi di finale.

Non solo dal punto di vista linguistico, perché ogni dialetto è dotato di una propria grammatica e lessico, in parte ricalcati sull’italiano, ovviamente, ma anche per la soglia di comprensibilità: spesso i parlanti di un gruppo non sono in grado di comprendere il dialetto parlato da un altro gruppo.

In alcuni casi, e parlo di alcune specifiche comunità di parlanti dialettali, uno tra tutti il napoletano, esistono dei dizionari, una letteratura, delle antologie, che contribuiscono a dare al dialetto una veste ufficiale.

C’è poi la questione della nobilitazione politica: prendiamo ad esempio il sardo, lingua ufficiale a tutti gli effetti dell’omonima isola. Consideriamo il fatto che dei tre ceppi dialettali del sardo, uno solo è diventato “il sardo” parlato ufficialmente. La nobilitazione politica rende inopportuno chiamarlo dialetto: trattasi di una lingua neolatina, in gran parte derivata dall’italiano.

17 gennaio, giornata nazionale del dialetto

In onore a questa caratteristica frammentazione linguistica della nostra penisola, il 17 gennaio ricorrerà la giornata nazionale del dialetto, alla quale le Pro Loco di ogni città e cittadina italiana sono invitate ad aderire con eventi a tema, tra cui rappresentazioni teatrali, letture, musica e altro.

L’importante è che queste iniziative siano tenute, almeno parzialmente, in dialetto.

Anche per chi mal lo parla o lo comprende appena, ho un invito: approfittate dell’occasione. Se è vero che il popolo italico è lento nell’apprendimento di nuovi idiomi, per l’investimento di risorse che questo comporta, almeno facciamo tesoro di quanto abbiamo vicino a noi: a beneficio della cultura, della tradizione locale, e anche dell’emisfero sinistro, mettiamoci nella condizione di ascoltare un po’ di dialetto.

Sotto uno dei regimi più repressivi della storia brasiliana, lo Stato è stato coinvolto nella produzione, nella distribuzione e nell’esercizio cinematografico a tal punto che gli anni ’70 sono diventati l’epoca di maggior successo nella storia cinematografica del Paese.

Nel 1966 fu creato l’Istituto Nazionale del Cinema (INC) e nel 1967 furono introdotti sussidi alla produzione. Nel 1969 fu costituita un’altra agenzia statale, Embrafilme, inizialmente per promuovere i film brasiliani all’estero; nel 1975 aveva assorbito tutte le funzioni dell’INC e applicava una quota di schermi oltre a sovvenzionare la produzione locale.

Dal 1966 al 1971, la produzione annuale di film brasiliani è passata da 28 a 94, raggiungendo il picco di 102 nel 1980, il numero più alto di lungometraggi mai prodotti in Brasile in un solo anno, mentre la quota di schermi, aumentata provvisoriamente a 63 giorni all’anno per sala nel 1969, è stata fissata a 140 giorni all’anno nel 1980.

Purtroppo, queste statistiche non riflettono affatto la qualità. Sebbene registi come Glauber Rocha, Rui Guerra e Carlos Diegues, che erano stati di fatto costretti all’esilio durante gli anni più repressivi del 1971-72, siano tornati in patria durante gli anni del boom e del Cinema Novo e sebbene siano stati realizzati alcuni film di alta qualità, un nuovo genere, la porno chanchada, ha dominato sempre più l’industria cinematografica.

La commedia erotica

I prestiti a basso interesse contribuirono a rendere popolare questo nuovo tipo di commedia erotica: A Viúva Virgem (La vedova vergine, regia di Pedro Rovai), A Infidelidade ao Alcance de Todos (L’infedeltà alla portata di tutti, di Anibal Massaini Neto e Olivier Perroy) e Os Mansos (Mariti indulgenti, co-regia di Royai) ricevettero tutti prestiti nel 1972, generalmente considerato il primo anno della porno chanchada. In modo inquietante, nel 1981 oltre il 70% di tutta la produzione brasiliana di lungometraggi era pornografica – e meno “erotica” e “comica” di prima e più “hard-core” – e solo 1 di tutti gli 80 film realizzati non era né porno né prodotto da Embrafilme. Inoltre, 20 dei 30 film che hanno incassato di più nel 1988 erano “pornografici”, forse il nadir della produzione cinematografica commerciale brasiliana.

Certo, negli anni ’70 e nei primi anni ’80 sono stati realizzati molti buoni film, tra cui il fondamentale sguardo critico dell’argentino Hector Babenco sul mondo dei bambini di strada, Pixote (1980), l’adattamento erotico del ventitreenne Bruno Barreto di Dona Flor e Seus Dois Maridos (Dona Flor e i suoi due mariti, 1976) che ha battuto tutti i record di incassi brasiliani e ha fatto conoscere al mondo Sonia Braga, e tre importanti opere prime dirette da donne, Mar de Rosas (Mare di rose, 1977) di Ana Carolina, Gaijin (1980) del nippo-brasiliano Tizuka Yamasaki e A Hora da Estrela (L’ora della stella, 1985) di Suzana Amaral, studentessa della NYU.

Sempre alla fine degli anni Ottanta, il Brasile sperimenta la produzione creativa diffusa di cortometraggi e, con l’avvento di attrezzature video relativamente poco costose, vengono realizzati lavori significativi da parte di gruppi indigeni che, in precedenza, non avevano mai avuto accesso a nessun tipo di produzione cinematografica.

Fine degli anni ’80 e inizio del declino

Nel 1989, anno in cui il Paese ha vissuto l’elezione più democratica in oltre un secolo, la produzione cinematografica brasiliana è crollata a 25 lungometraggi e nell’aprile 1990, nello stesso giorno in cui il governo ha congelato una percentuale di tutti i conti bancari, il Ministero della Cultura è stato chiuso e Embrafilme è stata sciolta.

L’industria cinematografica brasiliana è praticamente crollata da un giorno all’altro.

Nel 1991 furono distribuiti solo 9 lungometraggi brasiliani e nel 1992 solo 6 film brasiliani uscirono nelle sale locali. Nel 1993, in mezzo alle continue crisi finanziarie e politiche, un nuovo Ministero della Cultura promise un sostegno di 25 milioni di dollari per il cinema brasiliano e l’anno successivo uscirono 10 film di produzione locale.

Nel 1998, la produzione di lungometraggi brasiliani era risalita a 40 titoli, O que e Isso Companheiro (Quattro giorni a settembre) di Bruno Barreto fu candidato all’Oscar statunitense come miglior film straniero e Central Station di Walter Salles vinse il premio più importante, l’Orso d’oro al Festival internazionale del cinema di Berlino.

Possiamo se vogliamo considerarlo la seconda tra le fasi del Cinema Novo Brasiliano, quella degli anni ’60.

Negli anni Sessanta, in seguito alla diminuzione delle opportunità di proiezione dei loro film, i rappresentanti del nuovo cinema brasiliano fondarono una propria società di distribuzione, la Difilm, insieme al produttore commerciale Luiz Carlos Barreto.

Cercarono anche di realizzare film più commerciali e, con Macunaima (regia di Joaquim Pedro de Andrade, 1969), il movimento ottenne il suo primo vero doppio successo: al botteghino e con la critica. Basato su un’importante “rapsodia modernista”/romanzo brasiliano dallo stesso titolo scritto da Mário de Andrade (nessuna parentela) nel 1926, Macunaíma, il film è anche l’opera chiave della terza e ultima fase “cannibal-tropicalista” del Cinema Nôvo.

Terza fase

Dopo il secondo colpo di Stato del 1968, il regime repressivo introdusse la censura, per cui i registi furono costretti a un approccio indiretto, ricorrendo all’ironia e all’allegoria. Il regista Joaquim Pedro de Andrade seguì queste tendenze, ma la sua strategia centrale fu la parodia. La tradizione dei B-movie brasiliani della commedia musicale, la chanchada, viene rievocata attraverso la caricatura e la riscoperta del grande comico Grande Otello che, sessantenne, interpreta il personaggio del titolo, Macunaíma, come un bambino.

Il film satireggia anche in modo comico l’illusoria armoniosa mescolanza razziale del Brasile e la sua “Alleanza per il Progresso” con gli Stati Uniti, e nella sua messa in scena sgargiante e carnevalesca, insieme ai suoi assurdi dialoghi pieni di proverbi, accompagnati da canzoni popolari inappropriate, Macunaíma fornisce un commento ricco e divertente sulla società brasiliana contemporanea.

Alla fine del film Macunaíma viene lasciato solo nella giungla amazzonica, dove gli unici colori sono quelli della bandiera brasiliana – giallo delle capanne di paglia e delle banane, verde della vegetazione e azzurro del cielo – e si butta in una piscina per inseguire l’inafferrabile dea Uiara.

Il sangue emerge dall’acqua fangosa (gialla) (blu), penetrando nella giacca completamente verde dell’eroe, che galleggia da sola sulla superficie dell’acqua, mentre un inno patriottico deride l’azione. In questa, ultima inquadratura del film, è chiaramente rappresentata la dichiarazione di Andrade sul suo film: “Macunaíma è la storia di un brasiliano divorato dal Brasile”.

Film simbolo della terza fase

Altri film chiave della terza fase sono Como era Gostoso o Meu Francês (Com’era gustoso il mio francesino, 1971) di Nelson Pereira dos Santos, che si presenta come un film finto-antropologico realizzato dalla prospettiva degli indigeni amerindi cannibali che incontrano i colonizzatori europei, e le opere estremamente allegoriche di Guerra, Os Deuses e os Mortos (Gli dei e i morti, 1970) e O Dragão da maldade contra o Santo Guerreiro di Rocha (tradotto letteralmente come “Il drago del male contro il santo guerriero”, ma con il titolo inglese “Antonio das Mortes”, 1969).

Lo stato d’animo deprimente del periodo fu catturato da un gruppo di giovani registi in fuga che realizzarono film udigrudi (underground) a bassissimo budget, deliberatamente “cattivi”, nichilisti e praticamente “anti-cinema”.

Per lo più in concomitanza con la terza fase del Cinema Nôvo, film come O Bandido da Luz Vermelha (Bandito a luci rosse, regia di Rogério Sganzerla, 1968), Matou a Família e Foi ao Cinema (Ucciso la famiglia e andato al cinema, regia di Júlio Bressane, 1969) e Bangue Bangue (Bang Bang, regia di Andrea Tonacci, 1971) suggerivano già solo con i loro titoli un controcinema aggressivo.

I nuovi valori dei cineasti Novi

I cineasti di quello che poi divenne noto come movimento Cinema Marginal rifiutarono quello che chiamavano il Cinema Nôvo Richo (Cinema Nouveau-riche) e sostennero la sostituzione dell'”estetica della fame” di Rocha con un’estetica del lixo (spazzatura).

All’epoca, questi film (per lo più anti-intellettuali) non erano graditi ai cineasti e ai critici del Cinema Nôvo (per lo più istruiti) e un altro regista, in definitiva più commerciale, fu associato all’udigrudi, anche se la sua carriera iniziò molto prima, José Mojica Marins.

Continuiamo a parlare di nuovo cinema brasiliano con uno dei suoi esponenti più rappresentativi: Nelson Pereira dos Santos.

La storia

Nelson Pereira Dos Santos è stato definito il “padre”, la “coscienza” e persino il “Papa” del movimento per l’impronta personalissima e insieme seminale che ha saputo dare a questa corrente.

Nel 1954, con la realizzazione di Rio Quarenta Graus (Rio 40°), dos Santos diede il via a quel tipo di cinema indipendente e a basso costo che divenne caratteristico del nuovo cinema brasiliano, potremmo dire un cinema “indie” dell’epoca, ma con accezione ben meno pop e molto più “popolare” in senso stretto.

Nel 1953, dos Santos aveva lavorato come assistente di Alex Viany in Agulha no Palheiro in “L’ago nel pagliaio”, il primo lungometraggio brasiliano ad adottare i principi del neorealismo italiano. Ad esempio, erano considerati elementi neorealisti le riprese in esterni, l’uso di attori non professionisti e la trattazione di argomenti contemporanei e popolari in modo molto semplice, diretto e non drammatico e teatrale.

Dos Santos si opponeva radicalmente al modello hollywoodiano imitato dai precedenti tentativi di industria brasiliana e considerava la sua adozione dei principi neorealisti un atto “politico”, parte consistente del Cinema Novo.

Rio 40

Rio 40° inizia con una samba popolare [“Voz do Morro”] del carnevale più recente, ma la forma narrativa serrata della chanchada viene rifiutata per una struttura episodica in cui i personaggi centrali sono sostituiti dalla città di Rio de Janeiro e dalla sua gente.

I suoi personaggi

Concentrandosi sui poveri afro-brasiliani e sulla loro interazione con gli altri livelli della società nei regni del futebol (calcio) e del carnevale, le due attività culturali più rilevanti per la vita della maggioranza povera dei brasiliani, Rio 40° ha gettato le basi per un movimento cinematografico che avrebbe raccontato la verità sulla misera condizione dei marginali del Brasile, sostenendo al contempo la ricchezza della loro cultura.