Ho trovato un articolo interessante sul New Yorker, che parla di come le epidemie nel corso della storia abbiano modificato il sentire della gente. Non ho potuto non riferirlo ai recenti fatti da Coronavirus.

Senza pretese accademiche ho provato a tradurne alcuni brani che ho trovato più interessanti.

Il libro di cui parliamo è “Epidemie e società: Dalla peste nera al presente”, di Frank M. Snowden, professore a Yale di storia e storia della medicina. In sostanza, lo studioso ripercorre gli effetti negativi che le epidemie hanno avuto nell’indirizzare le peggiori discriminazioni contro fasce sociali già non certo privilegiate. Vediamo:

Le malattie epidemiche non sono eventi casuali che affliggono le società in modo capriccioso e senza preavviso. Al contrario, ogni società produce le proprie specifiche vulnerabilità. Studiarle significa comprendere la struttura della società, il suo tenore di vita e le sue priorità politiche.

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Le epidemie hanno a che fare con il nostro rapporto con la nostra mortalità, con la morte, con la nostra vita. Riflettono anche le nostre relazioni con l’ambiente, lo spazio che ci costruiamo attorno e l’ambiente naturale che risponde ai nostri stimoli. Mostrano le relazioni morali che abbiamo l’uno verso l’altro come persone.

[…]

Lo scoppio della peste, per esempio, ha sollevato l’intera questione del rapporto dell’uomo con Dio. Come è possibile che un evento di questo tipo possa accadere con una divinità onnisciente e che desidera il bene? Chi permetterebbe che i bambini siano torturati, così orribilmente in così tanti? La peste ha anche avuto un effetto enorme sull’economia. La peste bubbonica uccise metà della popolazione vivente e, quindi, ebbe un effetto enorme sull’avvento della rivoluzione industriale, sulla schiavitù e sulla servitù. Anche le epidemie, come stiamo vedendo ora, hanno effetti tremendi sulla stabilità sociale e politica. Hanno determinato gli esiti delle guerre, e a volte possono anche essere la causa dell’inizio di guerre.

(continua)