Aspetto forse meno considerato del Coriolano rispetto a quello della politica, in realtà la lingua è un tema che stava molto a cuore al Bardo, e che anche in questa precoce opera inevitabilmente affiora.

Il linguaggio e il suo potere nel Coriolano

Più volte si ribadisce: “il linguaggio è potere”. Nell’opera, i plebei sono chiamati “voci”, sia per le loro opinioni che per la loro capacità di votare. Queste “voci” sono essenziali per Coriolano, che ha bisogno del loro sostegno per diventare console. Anche i tribuni usano il linguaggio per influenzare il popolo e metterlo contro Coriolano, che verrà poi esiliato (qui la sinossi dell’opera, per gli smemorati).

In tutta l’opera, il linguaggio è usato per manipolare e oscurare la verità. Menenio lo usa per fare politica e per scegliere il vettore dell’ascensore sociale altrui. Anche Cominio, nonostante sia una figura militare, sa come usare il linguaggio per fare politica. Il suo discorso sulle gesta eroiche di Coriolano è un classico esempio di retorica persuasiva. Coriolano, invece, è un uomo d’azione che fatica con le parole. Preferisce le ferite alle parole e non ha la capacità di fare discorsi eloquenti o di fare politica.

Antroponimi: i nomi dei personaggi ci parlano!

Anche i nomi e le denominazioni sono aspetti essenziali del linguaggio nell’opera. Nella società romana, le persone avevano tre nomi: praenomen, nomen e cognomen. Caio Marzio, il protagonista dell’opera, riceve il cognomen “Coriolano” dopo aver conquistato Corioles. Questo atto lo definisce e lo trasforma da un essere umano in un eroe senza sentimenti. Tuttavia, Coriolano non comprende il potere dei nomi. Dimentica il nome di un uomo che cerca di risparmiare e sembra non sapere che il suo nuovo cognome ricorda costantemente ai volsci il modo in cui ha devastato la loro città.

Parole, distruzione e resurrezione nel Coriolano di Shakespeare

Questa tragedia più di ogni altra ce lo ricorda: le parole possono essere usate a favore o contro un individuo e i nomi possono definire l’identità di una persona. L’opera suggerisce che il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione, ma anche un mezzo per esercitare potere e influenza.