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Nulla è meno conoscitivo e più affascinante del fenomeno statistico dell’overfitting. 

Ora che siamo in clima di elezioni politiche, nulla è più attuale, immersi come siamo in costanti previsioni, poll preventivi, sondaggisti, strategie enunciate in modo da cinico a sempre più accorato.

Ma rimaniamo ancorati alla realtà: non c’è davvero modo di sapere come andrà un’elezione. Il più fine analista e stratega politico non potrà infatti tracciare con precisione non solo i sommovimenti del conteggio di un sistema elettorale misto e difficilmente prevedibile dato che sono state eliminate le preferenze, ma anche la “pancia” degli indecisi.

Gli indecisi sono infatti difficilmente prevedibili.

E qui torniamo al fenomeno dell’overfitting.

Cosa significa overfitting

L’overfitting o sovradattamento è un termine della statistica che descrive un modello statistico molto complesso che sembra prevedere un fenomeno, ma in realtà si sta solo adattando ai dati osservati.

Ciò accade perché tale modello ha un numero eccessivo di parametri rispetto al numero di osservazioni, e come la scienza ci insegna, la conoscenza viene data da un connubio oculato tra empirismo e teoria.

È quindi evidente che l’overfitting sia un problema importante durante i sondaggi politici, così come in tutti gli schemi che ambiscono a essere previsionali. Non dobbiamo lasciare che le regole del nostro pensiero soverchino mai l’osservazione umile e scientifica della realtà.

Abbiamo visto cos’è una pillola avvelenata, ma non abbiamo scandagliato bene tutti i suoi ambiti di utilizzo.

La natura della pillola avvelenata è tale che può essere adottata da una società, in quasi tutti i casi, senza il consenso degli azionisti. Il consiglio di amministrazione adotta semplicemente una delibera che approva il piano dei diritti degli azionisti e questi ultimi lo ricevono, senza necessariamente dover prendere parte al processo decisionale. 

Come si comporta una pillola avvelenata all’opera?

In definitiva, non è chiaro come si comporterebbe una pillola in caso di attivazione, poiché nessuna azienda ha mai attivato una pillola avvelenata. L’attivazione della poison pill provocherebbe talmente tanta incertezza e rischio per l’acquirente che quest’ultimo, in genere, preferisce negoziare con il consiglio di amministrazione o abbandonare la società piuttosto che affrontare il rischio di far scattare la clausola.

La vera funzione della pillola avvelenata

L’attivazione di una poison pill potrebbe danneggiare un’azienda diluendo il valore delle sue azioni. La domanda che ci si pone è: perché un’azienda dovrebbe intenzionalmente danneggiare se stessa?

La risposta è che la poison pill non ha lo scopo di danneggiare l’azienda, ma piuttosto di dissuadere qualsiasi potenziale acquirente dall’acquisire una quota troppo elevata dell’azienda senza il consenso della direzione. In apparenza, la pillola rappresenta una barriera nella proprietà che un acquirente non può superare. In questo modo, nessun acquirente potrà acquisire la piena proprietà di un’azienda senza prima rivolgersi al management (o, in alcuni casi, al tribunale) per negoziare una potenziale acquisizione. 

In poche parole: la pillola avvelenata allontana gli offerenti ostili.

L’acquirente davvero interessato, infatti, sarà costretto a collaborare con il management per cercare di far revocare il piano di diritti. Una volta al tavolo delle trattative, l’acquirente deve chiedere alla direzione di sponsorizzare una risoluzione che preveda il “riscatto” della pillola da parte degli azionisti e la rimozione da ogni azione. Se il consiglio di amministrazione è d’accordo e la pillola/piano dei diritti viene annullata, l’acquirente può procedere e completare la transazione. 

Tuttavia, se il consiglio di amministrazione non viene consultato o non gradisce i termini dell’offerta fatta dall’acquirente, la direzione può lasciare la pillola al suo posto e attendere semplicemente un’offerta migliore o un’altra soluzione.

La “pillola avvelenata” serve ad allontanare delle acquisizioni indesiderate d’azienda o a far lievitare il prezzo pagato da un acquirente che vuole imporre un’acquisizione ostile dell’azienda. La poison pill è un dispositivo meccanico progettato per funzionare in risposta all’acquisizione da parte del pretendente di un’ampia percentuale dell’impresa presa di mira. 

Come si costituisce la pillola al veleno

Una pillola di veleno assume la forma di un piano dei diritti degli azionisti. In sostanza, l’adozione di una poison pill è un’operazione che prevede l’assegnazione di un dividendo specifico a ciascuna azione in circolazione della società, consentendo agli azionisti di acquisire grandi quantità di azioni a fronte di un corrispettivo minimo o nullo in caso di un’offerta pubblica di acquisto ostile. La pillola funziona in modo tale che, se un offerente tenta di acquisire una determinata percentuale di proprietà dell’azienda, il piano viene attivato. In seguito all’attivazione della pillola, le azioni aggiuntive possono essere acquistate dai correnti azionisti a prezzi molto bassi. Il risultato è che il valore delle azioni acquistate dall’offerente entrante viene fortemente diluito, vanificando così l’offerta di acquisto.

 

ESEMPIO: Il management è molto preoccupato. Recentemente, nel settore in cui opera l’azienda, si sono verificate numerose attività ostili. Data la situazione, la direzione ha deciso di adottare un piano dei diritti degli azionisti in base al quale, se un offerente ostile acquisisce più del 15% delle azioni in circolazione dell’azienda, il piano scatta. L’attivazione (l’acquisto di più del 15% delle azioni in circolazione) dà diritto agli azionisti di pagare 1 dollaro per azione (invece dei 58 dollari a cui le azioni sono attualmente scambiate) ed è disponibile solo per gli azionisti che detenevano azioni prima dell’adozione del piano. In questo modo, la società ha creato una pillola al veleno che produrrebbe una massiccia diluizione del valore delle azioni in caso di tentativo di acquisizione ostile.

Sommerso, attività illegali e passibili di condanna… Tutto ciò fa parte dell’ampio contenitore che in economia chiamiamo “non osservato”. In sostanza, si parla di tutto ciò che sfugge alla rilevazione diretta, comprendendo quindi anche i contratti e le transazioni di denaro informali, che non vengono registrati in un sistema centralizzato. 

Per economia non osservata si intendono tutte quelle attività economiche che per diverse ragioni non risultano direttamente rilevabili. Le Nazioni unite hanno sistematizzato le categorie che possono rientrare all’interno di questa definizione. 

Si parla di attività non registrate, perché impossibili da tracciare da parte delle imprese stesse, oppure da chi si occupa di raccogliere le statistiche. Oppure si parla dell’economia sommersa, ovvero tutti quei traffici economici non dichiarati al Fisco, tra cui l’economia informale. 

Infine, abbiamo anche ovviamente i lavori e i traffici commerciali illegali, da sempre visibili al radar della statistica solo attraverso analisi di merci sequestrate, denunce di furto in qualche caso, o anche semplice visione attorno a sé di fenomeni che si conoscono benché non siano inquadrati da analisi specifiche.

Una zona grigia, insomma. 

Quando si calcola il PIL bisogna anche essere in grado di considerare l’economia non osservata.

Quel che è più interessante, soprattutto per i neofiti dell’economia, è che non si parla di ricchezza in quanto tale, ma piuttosto di valore aggiunto, ovvero la differenza tra il valore finale e quello dei beni necessari a produrlo.

In Europa

Dal 2014 tutti gli Stati Membri hanno dovuto inserire nel Pil anche le stime dei traffici derivanti da prostituzione, produzione e commercio di stupefacenti e contrabbando di sigarette. Anche gli affitti in nero e i falsi fatturati sono stati inseriti nel conteggio italiano.

Secondo l’ISTAT parliamo di 203 miliardi di euro di economia non osservata in Italia nel 2019.

Una cifra in costante calo, il che può significare sia la maggiore abilità di occultamento da parte di chi si occupa di economia non osservata, sia una inversione di tendenza.

 

Chissà!

Oggi l’analisi dei mercati si preannuncia più difficile del solito. I mercati sembrano in tumulto e le criptovalute stanno ancora soffrendo dopo il recente crollo.
Ma andiamo con ordine.

Come vedere il sell-off di ieri

C’è ancora spazio per scendere, sembrano dire alcuni analisti di rilievo, e mi sembra una considerazione sensata.

Il movimento dell’S&P 500 di lunedì ha spinto l’indice di riferimento al 20% dai suoi massimi precedenti.

Ma l’S&P 500 è pronto per un ulteriore ribasso dell’8% dopo aver subito un grosso crollo, complice la generale incapacità di superare alcune resistenze e la mancanza di segnali rialzisti da parte degli indicatori.

Tutto ciò avviene fondamentalmente perché molti investitori sentono, in lontananza ma ben distinto, l’odore della recessione.

Altri fattori da monitorare

Un altro motivo va sommato a questo quadretto: il rialzo dei tassi, sia da parte della BCE, sia da parte della Fed.

Secondo il principale stratega azionario statunitense di RBC Capital Markets, è assai probabile che avremo un rally di mercato “rapido e furioso”.

Gli investitori dovrebbero comprare dei titoli sottovalutati e ad alto rendimento – è facile rendersene conto consultando dividendi e rendimenti di cassa liberi, a fronte di valutazioni insolitamente basse.

Guerre, crisi, pandemie: siamo in un periodo non certo florido né per gli investitori, né per chi presta attenzione ai tassi d’interesse, né per moltissime altre categorie che – abbiate pazienza – non sto qui ad elencare.

È forse in questi momenti che anche i liberalisti più assidui e convinti cominciano a vacillare, e a invocare forse un briciolo di interventismo, onde sopperire alle mancanze che il libero mercato in tempo “normali” sembrava soddisfare così bene.

Classificazioni a parte, esistono in realtà da tempo diversi dibattiti sulla liceità o meno della regolamentazione del mercato in chiave politica, e soprattutto sulla sua gradazione.

Nel contesto del dibattito si colloca un pensiero a mio parere molto pionieristico, ma assai interessante: quello degli anarco-capitalisti.

Ma come, l’anarchia non era intrinsecamente anti-capitalista?

Apparentemente no.

Tutto può cominciare da un’osservazione più da vicino dall’Islanda medievale.

Perché l’Islanda medievale?

Secondo il teorico libertario David D. Friedman, “le istituzioni islandesi medievali hanno diverse caratteristiche peculiari e interessanti; potrebbero quasi essere state inventate da un economista pazzo per testare fino a che punto i sistemi di mercato possano soppiantare il governo nelle sue funzioni più fondamentali”. [Pur non definendolo direttamente anarco-capitalista, Friedman sostiene che il sistema giuridico del Commonwealth islandese si avvicina a un sistema giuridico anarco-capitalista del mondo reale.[157] Pur notando che esisteva un unico sistema giuridico, Friedman sostiene che l’applicazione della legge era interamente privata e altamente capitalista, fornendo alcune prove di come funzionerebbe una società di questo tipo. Friedman scrive inoltre che “anche quando il sistema legale islandese riconosceva un reato essenzialmente “pubblico”, lo trattava dando a qualche individuo (in alcuni casi scelto a sorte tra le persone colpite) il diritto di perseguire il caso e di riscuotere la conseguente multa, inserendolo così in un sistema essenzialmente privato”.

Mi è stato detto da una persona amica che sarebbe opportuno fare una piccola guida con qualche indicazione per i giovani investitori, o in ogni caso per chi si affaccia per la prima volta all’affascinante mondo della finanza.

Premetto che non sto elargendo verità assolute e non ho pretese manualistiche, ma voglio solo provare a dare un’infarinatura a chi è ancora digiuno da stock, azioni, obbligazioni e altri termini simili.

Le frodi

Invece di impostare questa miniguida come un glossario, mi sembra più saggio concentrarmi su un problema molto ricorrente: le frodi.

Se ricevi una promozione azionaria non richiesta, sii prudente.  Chiunque stia promuovendo l’azione potrebbe trarre profitto a tue spese gonfiando il prezzo dell’azione e poi vendendo le azioni.  I truffatori spesso usano tecnologie o industrie emergenti – comprese le offerte iniziali di monete (ICO) e i beni digitali – per attirare gli investitori come parte di uno schema fraudolento o manipolativo. Per esempio, possono annunciare pubblicamente uno sviluppo che è destinato a influenzare il prezzo delle azioni di una società. Oppure possono promuovere una società che sostiene di sviluppare prodotti o servizi relativi alle ultime notizie o tendenze.

Attenzione alle azioni microcap

Le informazioni disponibili al pubblico sui titoli microcap (titoli a basso prezzo emessi dalle società più piccole), compresi i penny stock (i titoli a prezzo più basso), spesso sono scarse.  Questo rende più facile per i truffatori diffondere informazioni false. Inoltre, è spesso più facile per i truffatori manipolare il prezzo delle azioni microcap perché le azioni microcap sono storicamente meno liquide delle azioni di società più grandi e spesso non sono scambiate su una borsa valori nazionale. 

Come accorgersi della frode

Ad esempio, il truffatore potrebbe raccomandarti di comprare azioni. Se le azioni della società sembrano essere promosse più pesantemente dei suoi prodotti o servizi, allora c’è un problema.

Inoltre, diffida di chi non ha dietro alcuna operazione commerciale reale: in alcuni casi i penny stock che sono promossi in modo aggressivo possono essere titoli di società di comodo dormienti. 

Altro fattore a cui prestare attenzione: l’aumento inspiegabile del prezzo delle azioni o del volume degli scambi, oppure la sospensione del trading da parte di organismi di controllo.

Anche, i frequenti cambiamenti nel nome della società o nel tipo di attività, o nella ragione sociale.

Miracolo per gli investitori, scempiaggine per gli appassionati d’arte, gallina dalle uova d’oro per artisti: gli NFT assumono molti volti diversi a seconda di chi ne parla, e del contesto nel quale se ne parla. Una sola cosa è certa: qualcuno ci sta guadagnando incredibilmente, in questo preciso momento.

L’investimento volatile del momento

È curioso come un mercato di nicchia e destinato solo a un certo tipo di investitore, come quello dell’arte contemporanea, sia diventato un fenomeno sulla bocca di tutti, anche in ambiti tecnici e per neofiti della finanza e dell’investimento.

Forse mi sono perso qualche passaggio intermedio della progressiva consapevolezza fiscale che sembra aver investito il mondo globalizzato negli ultimi anni. Io ero fermo a un mondo nel quale solo chi aveva discrete competenze economiche e una buona base di metodo di studio (in generale) si dedicava all’investimento.

Ma soprattutto, il piccolo risparmiatore raramente perdeva del tempo per acquisire le conoscenze necessarie per investire da solo o da sola.

Oggi, complici forse le piattaforme che consentono a chiunque di investire tramite internet, ma anche i molteplici video motivazionali che vedo fioccare ogni volta che apro Youtube, tutti si sono improvvisati investitori.

Ricordo con amarezza cosa successe l’ultima volta che vidi un tale fenomeno in atto, con i bond argentini nel 2001. Ma oltre a invitare i miei conoscenti alla diffidenza, non posso fare molto altro.

L’onda degli NFT ingloberà e risputerà i più piccoli e fragili di noi, come ogni altra moda finanziaria ha fatto.

Perché sono così convinto? 

Innanzi tutto, perché la volatilità del loro valore è ancora troppo alta. Ma anche, perché il prestigio sociale derivato dal possesso e dall’esposizione di una reale opera d’arte raramente potrà essere emulato da un oggetto digitale.

Parliamo molto di Metaverso, di social network che sostituiscono la vita reale, ma a mio parere sempre di oggetti fisici stiamo parlando.

Se togliamo l’appetitosità del mondo fenomenico, che cosa ci rimane?

Tutte le storielle finiscono, prima o poi, e temo che anche gli NFT faranno la stessa fine.

Le ultime elezioni hanno fatto calare il differenziale Btp-bund, e vorrei spiegare perché è sceso lo spread.

In sostanza, l’impressione che gli investitori esteri hanno ricavato dal panorama italiano, è che la maggioranza di governo è ancora stabile, e probabilmente durerà.

Poco importa, come immaginerete, cosa ne pensa politicamente l’elettorato del Parlamento italiano.

Come è giusto che sia, si guarda alla tenuta del Governo, che di conseguenza darà stabilità anche alle riforme economiche.

Servirà sicuramente del tempo, dopo la vittoria del sì, per sistemare commissioni parlamentari e collegi.

Durante questo tempo, secondo gli investitori, è molto improbabile che cada il Governo.

Anche se ci si potrebbe mettere a questionare su quest’ultimo punto, è comprensibile la posizione, soprattutto se vista dall’esterno.

La stabilità dei governi italiani è stata fortemente minata, ultimamente, e quindi è comprensibile che ogni segnale di ripresa sia preso come un buon segnale, di ritorno alla normalità.

Perché è sceso lo spread, anche se forse non dovrebbe

Per chi è un analista politico più scafato, però, rimane difficile credere che la stabilità italiana, d’ora in poi, sarà garantita. 

Infatti, non siamo nuovi a cambi di bandiera anche nei momenti in cui la stabilità sembra data per assodata. Non farò riferimento a questioni specifiche, ma ci siamo capiti: quante legislature sono arrivate a fine mandato così come erano state formate a urne chiuse?

Quante volte, inoltre, un Governo è crollato per la mancata fiducia, e si è andati a elezioni anticipate?

Quindi, bene che lo spread sia tornato ai livelli di prima di marzo 2020. Lo spettro del lockdown è stato definitivamente assorbito, e speriamo che la situazione duri il più a lungo possibile.

In fondo, il mio compito non è giudicare cosa vogliono fare gli investitori esteri. Io analizzo, confronto, e traggo conclusioni. Spero che facciate altrettanto, e che badiate ai vostri investimenti.

Non proprio una novità, i green bond, visto che se ne parla in proporzioni variabili più o meno in tutti i consessi di menti ecologiste, almeno dal 2007.

La crescita lenta e inesorabile 

I green bond, o climate bond, hanno conosciuto negli ultimi 15 anni una crescita inesorabile. La crescente attenzione per l’ambiente si è dimostrata non solo un ultimo atto mediatico, ma anche una tendenza delle aziende. 

Celebre è stato il caso della catena di American bar Starbucks, che ha emesso 3 green bond per finanziare il proprio progetto di un brand collaterale di caffè ecosostenibile. 

Nel raccontare il bond, il CFO di Starbucks, Scott Maw, ha dichiarato: “L’emissione di un bond incentrato sul sourcing sostenibile dimostra che la sostenibilità non è solo un add-on, ma è parte integrante di Starbucks, compresa la nostra strategia e le nostre finanze”.

L’idea di strategia è centrale per questo tipo di obbligazioni.

La strategia

Se consideriamo da un punto di vista puramente finanziario questo tipo di bond, vediamo com la durata media tenda ad essere di 8 anni. Inoltre, è possibile e consigliato sviluppare uno sguardo di lungo termine, piuttosto che una valutazione della resa azionaria, anno per anno. 

Come si riesce a fare una valutazione simile? Molto semplicemente, usando un elenco degli strumenti green che vengono negoziati sui mercati MOT e ExtraMOT. Riguardo a questi, un soggetto terzo (per quanto riguarda Borsa Italiana) è responsabile di certificare come vengono utilizzati i proventi dei green bond.

È evidente che il rischio di fare un investimento sbagliato è legato a doppio filo alla capacità di comprendere una strategia “green” sul lungo periodo.

Quali ambiti riguardano i green bond

Serve dirlo, in conclusione. I green bond riguardano ambiti come l’efficienza energetica, l’energia da fonti pulite, l’uso sostenibile di acqua e terra, la prevenzione dell’inquinamento, il trattamento dei rifiuti, i trasporti e l’edilizia.