Ho ritrovato scartabellando del vecchio materiale di quand’ero ragazzo una fotocopia che  l’insegnante di greco antico e latino ci fornì al liceo, per meglio riflettere sul Cratilo di Platone. Sono rimasto talmente colpito dalla profondità della filosofia che ci ho riscontrato, e dall’acutezza con la quale abbiamo trattato il volume, che ho deciso di riportarlo.

Non me ne vogliate se mi concedo questo momento così spiccatamente intellettuale, prendetelo come un omaggio sommesso all’eccellenza della scuola italiana.

“Cratilo”-Riflessione confusa in risposta alle osservazioni sollevate ieri a lezione. 

  1. “Che se poi l’abitudine non è affatto Convenzione sarebbe meglio dire che non la somiglianza è dimostrazione, ma l’abitudine invece; è questa infatti, come pare, che significa per mezzo del simile e del dissimile.” (dice Socrate)

E l’abitudine presuppone rapporto, non è del tutto arbitraria. Per riprendere l’esempio fatto ieri a lezione, “tavolo” non è stata una scelta casuale, i latini lo chiamavano “tabula” composto da “ta-bula”, “stendere” più suffisso “-bula” che forma un sostantivo designante strumento(come fa-bula, da for, faris: “parlare”) (Francesco Bonomi,vocabolario Etimologico della lingua italiana). Insomma, quello che spaventa Socrate, e Cratilo, è la dissociazione che Ermogene compie tra linguaggio e ratio non strumentale, ovvero ratio conoscitiva. Perché lo sappiamo, tutto ciò che si presenta come arbitrario molto più difficilmente diventa oggetto di studio. L’ossessione positivista per la catalogazione scientifica non è un’assoluta novità per la storia umana, anzi è una necessità quasi di specie dell’homo sapiens sapiens, almeno quanto la curiosità che ad essa si accompagna. Negare totalmente una ratio al linguaggio sembra, anche a Platone/Socrate, poco da “sapiente”, non è difficile da comprendere.

  1. “E credo anche che uno se si desse molto da fare ne troverebbe molti altri [esempi] dai quali sarebbe spinto a ritenere che chi pose i nomi intendeva significare al contrario che le cose non vanno né si muovono ma se ne stanno immobili.”

Notiamo come lo schematismo non voglia comunque configurarsi come troppo dogmatico: Platone ammette una quota di movimento all’interno dell’abitudine (potremmo azzardarci a dire “regola”?), o forse, meglio, conferisce all’abitudine stessa lo statuto di “mobile”.

Certo la dissertazione paretimologica di Socrate e Cratilo su “scleron” sembra ingenua, e nemmeno la giustificazione nelle tuttora esistenti parole onomatopeiche ci fa ricredere con sicurezza, rimaniamo scettici. Ma non dimentichiamo che siamo figli di una scuola strutturalista e grammatica che ha compiuto passi da gigante dalla “lambda con idea di debolezza” e “rho con idea di forza”. Memento, non tutto è attualizzabile, e la rivalutazione a posteriori… molto spesso è poco conoscitiva.

PS: Per rispondere all’esempio del ragazzo, sono d’accordo che si possa decidere di chiamare un tavolo “blar” (?), ma sfido a ricostruire un sistema grammaticale complesso… Ovviamente, senza utilizzarne uno preesistente. Da un lato la libertà che ogni parlante si prende, dall’altro il retaggio normativo grammaticale, imprescindibile. Che, emotivamente parlando, sconcerta al punto da credere, in momento di debolezza, a un ipotetico Legislatore.”