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Editore: Buongiorno egregio Diderot, si sieda pure. E’ un honneur averVi qui tra noi. Confidando che Vossignoria vi siate ripresi dall’orrenda quanto scandalosa prigionia, ci apprestiamo a farVi firmare un contratto di prestazione non occasionale con noi.

Diderot: Bonjour mon editeur, e grazie per avermi strappato dalle catene, fuor di metafora ma anche dentro la metafora. Sono onorato io pure di una simile scelta, per quanto sarebbe da mia parte vanteria ingenua non capire perché il Vostro occhio si sia su di me posato.

Editore: Certo, potete ben capirlo. Siete l’unico in tutta la Francia, grande madre e tiranna dei nostri ingegni, che avrei potuto contattare. Ma ecco, vi spiego il mio proposito: vorrei tradurre, a DeaRagione piacendo, “Cyclopædia, or an Universal Dictionary of Arts and Sciences” dell’Egregio Ephraim Chambers, esimio intelletto londinese.

Diderot: Lo ben conosco, il collega londinese! Però vede, cher Breton, sono due volumi in folio, è una bella fatica. Ed io ecco, per usare un eufemismo tanto caro ai Ns Governanti, sono al verde.

Editore: Certo certo, comprendo il suo bisogno di lavorare, e apprezzo la sua anti-aristocratica e ragionevole richiesta. Verrà adeguatamente remunerato per il suo lavoro, da me richiesto e non spontaneo.

Diderot: Ma ecco, editore, visto che siamo in argomento, finanzierebbe anche un progetto più grandioso? Pensavo, una Enciclopedia delle arti e dei mestieri, interamente francese, con voci raccolte con mezzi francesi, in aziende francesi, che documenti lo stato dell’arte e della tecnica in Patria. Io lo farei per amor di scienza ma, come già detto, mio padre m’ha diseredato e in qualche modo devo mangiare e sfamare le mie, pardon “la mia” famiglia.

Editore: Ma certo, ma certo, non si preoccupi. Verrà remunerato per la sua spontanea attività intellettuale, come si remunera un manovale che presta la propria opera a un datore di lavoro prima, ma successivamente alla collettività. Certo, se socialmente fosse concepito un sostentamento per tutti, sarebbe diverso. Ma siamo in Francia, che vuole che sia. La pagherò.

(Questo l’ipotetico dialogo intercorso tra André Breton e Denise Diderot, per la retribuzione dell’enciclopedia, a riflessione spontanea sul diritto di retribuzione del lavoro culturale)

E’ la fine del 1750 e nei salotti francesi buoni e in odore di illuminismo si aggira una curiosa stampa. E’ il Prospectus dell’Encyclopèdie, che riporta la data di stampa del 1751, in una perfetta operazione di marketing che mira a promuoverlo adeguatamente nei circoli che contano.

La domanda che mi collega al discorso di una enciclopedia retribuita è: chi paga?

Gli editori

Così scrivono gli editori del progetto Encyclopedie, facendo scarcerare Diderot da Vincennes, dove stava rinchiuso«Quest’opera, che ci costerà 250.000 lire – scrivono – e per la quale ne abbiamo già spese più di 80.000, stava per essere annunciata al pubblico. La detenzione del signor Diderot, l’unico uomo capace di un’impresa così vasta, e il solo che possieda la chiave di questa operazione, può significare la nostra rovina!» (così dice Luciano Canfora nella sua introduzione alla traduzione italiana del Prosectus nei “Quaderni di varia cultura”, al quaderno 01, della Fondazione Gianfranco Dioguardi. La traduzione è di Francesco Franconieri).
Stiamo parlando del 1749, Diderot verrà scarcerato dopo soli tre mesi, e il suo progetto di Enciclopedia sarà un lasciapassare pubblico che gli consente di proseguire il suo lavoro intellettuale, interrotto dalla censura governativa.
Ma la parte più interessante è che il progetto ottiene “1002 sottoscrizioni dell’opera intera” (spiega Canfora). Una sorta di crowdfunding ben riuscito.
E’ abbastanza istintivo evincere da questi fatti che chi ci guadagnò veramente dal progetto editoriale furono gli editori. Non ci è dato sapere se gli enciclopedisti percepissero un compenso, come già gli autori del “caffè” milanese, che però era un periodico.

Rimborsi spese

Il lavoro giornalistico era certamente retribuito, tant’è che già la professione di giornalista andava formandosi. Invece li lavoro enciclopedico nasce sulla scorta di una spontanea abnegazione, oltre a un’implicito classismo sociale che assegnava ai ricchi di famiglia la possibilità di dedicarsi alle culturali applicazioni.
C’è anche da dire che Diderot nell’introduzione istituisce un parallelismo tra il reperimento di informazioni che ha fatto e quanto avrebbe potuto fare andando presso artisti. Cita i “soldi in mano” necessari per questi ultimi, e abbiamo buone ragioni di credere che le “consulenze” elargitegli le remunerasse ampiamente.
Che esistesse un rimborso spese per il suo lavoro? Ne dubito fortemente. Ma nel prossimo post parlerò di come la mutazione sociale impedisca la riproposizione di questo genere di schema.