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Bene, questo mese l’ho ufficialmente dedicato alla finanza.

Mi scuso con quelli di voi che non masticano molto l’argomento, e magari sarebbero stati benone anche senza masticarlo.

Tuttavia ne sono convinto: la finanza è per il patrimonio personale un puntello, un inevitabile moltiplicatore. Così come la statistica lo è per la politica e in generale per la conoscenza del mondo!

Quindi, non me ne vogliate, ma oggi finisco di parlare del concetto di multicollinearità.

Che cos’è la multicollinearità

La multicollinearità è una situazione che si verifica nell’analisi di regressione quando due o più variabili indipendenti (predittori) sono altamente correlate tra loro. In altre parole, la multicollinearità si manifesta quando una variabile indipendente può essere predetta in modo lineare da un’altra variabile indipendente con un alto grado di accuratezza. Questo fenomeno può creare problemi nell’interpretazione dei risultati di un modello di regressione.

La multicollinearità può causare diversi problemi nell’analisi di regressione.

Ad esempio, quando c’è multicollinearità i coefficienti stimati della regressione possono diventare molto sensibili a piccoli cambiamenti nei dati. Ciò significa che aggiungendo o rimuovendo un’osservazione dal dataset, i coefficienti potrebbero cambiare in modo significativo, rendendo il modello instabile e poco affidabile.

In presenza di multicollinearità diventa difficile interpretare i coefficienti di regressione perché non è chiaro quale variabile indipendente stia effettivamente influenzando la variabile dipendente. Ad esempio, se stiamo cercando di capire l’effetto dell’età e dei chilometri percorsi sul valore di un’auto, e queste due variabili sono altamente correlate (perché un’auto più vecchia ha probabilmente percorso più chilometri), diventa difficile isolare l’effetto di ciascuna variabile.

Aumento della varianza dei coefficienti

La multicollinearità aumenta la varianza delle stime dei coefficienti di regressione, rendendo più difficile la determinazione dell’effettiva significatività dei predittori. Ciò può portare a risultati in cui le variabili appaiono non significative quando, in realtà, potrebbero avere un effetto significativo.

È stato troppo tecnico?
Spero vivamente di no!

Vorrei ricollegarmi, approfittando di questa pausa agostana, a quando ho abbozzato la scorsa settimana sulla regressione lineare.

Ora che ho cercato di dare una piccola definizione, è il momento di fare qualche esempio pratico d’utilizzo. 

Previsione delle vendite in base alla spesa per lo stipendio dei venditori

Immaginiamo un’azienda che vuole capire come la spesa per il comparto vendite influisce sulle vendite mensili. In questo caso, la variabile dipendente (Y) è rappresentata dalle vendite, mentre la variabile indipendente (X) è la spesa. Se esiste una relazione lineare tra la spesa in comparto vendite e le vendite (ad esempio, ogni 1.000 euro spesi si traducono in un aumento di 10.000 euro nelle vendite), la regressione lineare può essere uno strumento molto utile per fare previsioni future e ottimizzare il budget per questo reparto.

Analisi della relazione tra l’età e il reddito

Un ricercatore potrebbe essere interessato a studiare la relazione tra l’età delle persone e il loro reddito annuale. Utilizzando un dataset che raccoglie informazioni sull’età e sul reddito di un campione di individui, si può utilizzare la regressione lineare per vedere se c’è una tendenza lineare (ad esempio, il reddito aumenta con l’aumentare dell’età fino a un certo punto, per poi stabilizzarsi o diminuire).

Stima della pressione sanguigna in base all’età e al peso

Un medico può utilizzare la regressione lineare per stimare la pressione sanguigna in base all’età e al peso del paziente. In questo caso, la pressione sanguigna è la variabile dipendente, mentre l’età e il peso sono variabili indipendenti. Se c’è una relazione lineare tra queste variabili, la regressione lineare multivariata (che considera più di una variabile indipendente) può essere utilizzata per costruire un modello predittivo.

Esempi di inefficacia della regressione lineare

Supponiamo di voler prevedere il prezzo di una casa in base alla sua dimensione. In molti mercati immobiliari, esiste una relazione non lineare tra il prezzo di una casa e la sua dimensione (ad esempio, il prezzo potrebbe aumentare rapidamente con l’aumentare della dimensione fino a un certo punto, per poi aumentare più lentamente o addirittura stabilizzarsi). In questo caso, la regressione lineare semplice non sarebbe adatta perché non cattura adeguatamente la natura non lineare della relazione. Potrebbero essere più appropriati modelli di regressione polinomiale o altri metodi di machine learning.

Oppure, immaginiamo di voler utilizzare la regressione lineare per prevedere il numero di ore di studio necessarie per ottenere un certo punteggio su un test. Se nel dataset ci sono alcuni studenti che hanno studiato un numero eccezionalmente elevato di ore ma hanno ottenuto punteggi bassi (o viceversa), questi outlier potrebbero influenzare significativamente la linea di regressione, rendendo il modello meno accurato. In tali casi, la regressione lineare potrebbe non essere la scelta migliore a meno che non si trattino adeguatamente gli outlier o si utilizzi una variante robusta della regressione.

Oppure, la regressione lineare non funziona in scenari in cui le relazioni tra variabili sono molto complesse. 

Ad esempio, in un modello che cerca di prevedere la felicità di una persona in base a fattori come reddito, stato civile, salute, ecc., le interazioni tra queste variabili possono essere complesse e non lineari. In questi casi entrano in campo dei modelli più sofisticati come le reti neurali, le macchine a supporto vettoriale (SVM) o i modelli ad albero decisionale.

La presenza di multicollinearità

Parlerò in un prossimo post di multicollinearità, qui mi limito a dire che il fenomeno si verifica quando le variabili indipendenti risultano correlate tra loro. 

Ad esempio, se stiamo cercando di prevedere il prezzo di un’auto in base all’età dell’auto e al numero di chilometri percorsi, queste due variabili indipendenti potrebbero essere fortemente correlate (più un’auto è vecchia, più chilometri ha percorso). La presenza di multicollinearità può causare problemi nella stima dei coefficienti di regressione e rendere il modello instabile. In questi casi, tecniche come la regressione ridge o l’eliminazione di una delle variabili correlate possono essere necessarie.

Per chi si sta avvicinando al mondo complesso dell’analisi finanziaria, è il momento di mettere un punto: vediamo insieme cosa intendiamo quando parliamo di regressione lineare e perché è importantissimo conoscere e saper applicare questo concetto.

Cosa significa analisi di regressione lineare

L’analisi di regressione lineare è una tecnica statistica utilizzata per modellare e analizzare la relazione tra una variabile dipendente e una o più variabili indipendenti. Questa tecnica è ampiamente utilizzata in vari campi, tra cui economia, scienze sociali, biologia, ingegneria e molti altri, per comprendere e prevedere i comportamenti dei dati.

La regressione lineare si basa sull’idea che esiste una relazione lineare tra le variabili. In altre parole, si assume che il cambiamento in una variabile dipendente (anche chiamata variabile risposta o variabile target) possa essere spiegato da cambiamenti in una o più variabili indipendenti (anche chiamate variabili predittore). La forma più semplice di regressione lineare è quella lineare semplice, che coinvolge solo due variabili: una dipendente e una indipendente. L’obiettivo principale dell’analisi di regressione lineare è identificare la migliore linea retta (o iperpiano, nel caso di più variabili indipendenti) che minimizza la somma dei quadrati delle differenze tra i valori osservati e i valori predetti dalla linea. Questa tecnica è nota come il metodo dei minimi quadrati ordinari (OLS – Ordinary Least Squares). Il risultato finale è un modello che può essere utilizzato per prevedere i valori futuri di Y sulla base di nuovi valori di X.

Gli statisti spesso esaminano anche i valori p dei coefficienti di regressione per determinare se le relazioni osservate tra le variabili sono statisticamente significative. Un valore p inferiore a un livello di significatività (spesso 0,05) indica che esiste una bassa probabilità che la relazione osservata sia dovuta al caso.

I limiti della regressione lineare

Sebbene la regressione lineare sia una tecnica potente, ha anche i suoi limiti. Una delle principali assunzioni della regressione lineare è che esista una relazione lineare tra le variabili. Se la relazione è non lineare, il modello di regressione lineare potrebbe non essere adeguato. Inoltre, la regressione lineare può essere influenzata da valori anomali (outlier) e multicollinearità (quando le variabili indipendenti sono altamente correlate tra loro).

Lo spiegherò meglio in un articolo successivo.

Buongiorno!
Ho sentito di recente una persona usare nello stesso discorso i termini “normalizzazione” e “standardizzazione” in modo intercambiabile. Questa persona non lavora con l’analisi dati, quindi l’ho reputato uno scivolone comprensibile.

Però la differenza è in realtà molto semplice, e utilissima per chi vuole fare un minimo di analisi finanziaria. Quindi ho provato a spiegarla in termini semplici.

Spero sia utile!

Differenza tra normalizzazione e standardizzazione

Immaginiamo di avere un insieme di dati. La normalizzazione ridimensiona i dati in un intervallo fisso, solitamente tra 0 e 1. Ad esempio, abbiamo un gruppo di numeri che rappresentano i punteggi di diverse persone in una gara. 

Normalizzare significa prendere tutti questi punteggi e ridurli in un range da 0 a 1, mantenendo le proporzioni originali. Il punteggio più basso diventerà 0 e quello più alto diventerà 1, mentre tutti gli altri punteggi saranno ridimensionati proporzionalmente tra questi due estremi.

Il grafico della normalizzazione mostra che i dati originali (che potevano essere qualsiasi numero) sono stati compressi in un intervallo da 0 a 1. La forma della distribuzione dei dati rimane la stessa, ma i valori sono ora limitati in questo nuovo intervallo.

Standardizzazione

La standardizzazione, invece, cambia i dati per far sì che abbiano una media di 0 e una deviazione standard di 1. Immagina di prendere tutti i punteggi della gara e trasformarli in “quanto si discostano dalla media”. Se qualcuno ha un punteggio molto vicino alla media, il suo valore standardizzato sarà vicino a 0. Se ha un punteggio molto sopra la media, sarà positivo (maggiore di 0); se molto sotto la media, sarà negativo (minore di 0).

Un tipico grafico della standardizzazione mostra che i dati sono stati trasformati per avere una distribuzione centrata attorno a zero, con la maggior parte dei dati all’interno di un intervallo di -1 a 1, il che indica che la maggior parte dei punteggi non è troppo lontana dalla media.

In parole povere…

La normalizzazione riduce i dati a una scala tra 0 e 1, mantenendo le proporzioni originali tra i valori. Invece la standardizzazione trasforma i dati per avere una media di 0 e misurare quanto ogni dato è lontano dalla media in termini di deviazione standard.

Per l’analisi finanziaria cosa serve?

La risposta è: dipende! 

Come in molti altri contesti, anche qui va fatta un’analisi ad hoc in base alla tipologia di dati e alle risposte che da essi si vogliono ottenere.

Il blackout causato dall’aggiornamento errato di CrowdStrike ha avuto diverse conseguenze gravi. Molte aziende in tutto il mondo hanno subito interruzioni significative, inclusi problemi per le compagnie aeree come United, Delta e American Airlines, che hanno dovuto fermare i voli.

In sintesi: il grave blackout informatico è stato causato da un aggiornamento errato del software di sicurezza CrowdStrike, che ha colpito milioni di dispositivi Windows in tutto il mondo. Il problema ha generato numerosi “Blue Screens of Death” (BSOD), causando interruzioni significative in vari settori, tra cui compagnie aeree e servizi sanitari.

Attacco informatico o errore umano?

L’aggiornamento difettoso non è stato attribuito a un attacco informatico, ma piuttosto a una configurazione del software, a quanto pare scorretta. Questo ci dovrebbe far riflettere su quanta responsabilità stiamo ormai dando all’informatica nelle nostre vite, e in settori chiave come l’estrazione, la viabilità aerea, la sicurezza internazionale, e via dicendo.

Robert Putnam, un rinomato politologo e sociologo americano, ha portato il concetto di capitale sociale al centro del dibattito accademico e pubblico con la sua influente opera, in particolare con il libro “Bowling Alone: The Collapse and Revival of American Community”. Putnam definisce il capitale sociale come le caratteristiche della vita sociale – reti, norme e fiducia – che consentono ai partecipanti di agire insieme in modo più efficace per perseguire obiettivi comuni. Secondo Putnam, il capitale sociale è fondamentale per la salute delle democrazie moderne e per il benessere delle comunità.

Attenzione alle differenze: capitale sociale non significa “contatto utile”

Putnam distingue due forme di capitale sociale: il capitale sociale di legame e il capitale sociale di ponte, il cosiddetto contatto utile, le “connessioni giuste”. Il capitale sociale di legame si riferisce alle connessioni strette e personali che si formano tra individui con esperienze e background simili, come familiari e amici stretti. Questo tipo di capitale sociale può fornire un supporto emotivo e materiale significativo, ma tende a essere meno efficace nel creare legami tra diversi gruppi sociali.

D’altra parte, il capitale sociale di ponte coinvolge relazioni più ampie e meno intime, che collegano individui di diverse origini sociali, economiche ed etniche. Questo tipo di capitale sociale è essenziale per la costruzione di una società coesa e inclusiva, poiché facilita la cooperazione tra diversi segmenti della popolazione. Putnam sottolinea che entrambe le forme di capitale sociale sono necessarie: il capitale sociale di legame costruisce la solidarietà interna, mentre il capitale sociale di ponte promuove l’integrazione e la coesione sociale.

Il caso Stati Uniti

Uno dei principali contributi di Putnam è la sua documentazione del declino del capitale sociale negli Stati Uniti dalla metà del XX secolo. Egli utilizza una vasta gamma di dati, tra cui la partecipazione a organizzazioni civiche, religiose e sociali, il volontariato, la partecipazione politica e altre forme di impegno comunitario, per mostrare come gli americani siano diventati progressivamente meno connessi tra loro.

Putnam attribuisce questo declino a diversi fattori, tra cui l’aumento del tempo dedicato al lavoro, il cambiamento delle strutture familiari, la suburbanizzazione, e l’influenza dei media elettronici, in particolare la televisione. Il calo del capitale sociale, secondo Putnam, ha conseguenze significative per la società, riducendo la capacità delle comunità di risolvere problemi collettivi, di sostenere istituzioni democratiche e di promuovere la fiducia e la cooperazione tra i cittadini.

Fidarsi è bene (sempre!)

Un elemento centrale della teoria del capitale sociale di Putnam è la fiducia. Egli sostiene che la fiducia tra i membri di una comunità è un componente cruciale del capitale sociale e che le reti di fiducia facilitano la cooperazione e l’azione collettiva. La fiducia può essere intesa sia come fiducia interpersonale, ovvero la fiducia che le persone hanno nelle altre persone, sia come fiducia istituzionale, ovvero la fiducia nelle istituzioni e nelle organizzazioni.

Putnam evidenzia come alti livelli di fiducia interpersonale siano associati a una serie di esiti positivi, tra cui una maggiore partecipazione civica, una migliore salute pubblica e una minore criminalità. Le comunità con alti livelli di capitale sociale tendono a essere più prospere e resilienti, poiché la fiducia facilita la cooperazione.

Una piccola lezione che forse dovremmo ricordarci più spesso!

Il Concetto di Capitale Sociale: Origine e Definizione

Il capitale sociale è un concetto fondamentale nelle scienze sociali, che si riferisce alle risorse derivanti dalle relazioni sociali e alle reti di contatti che un individuo o una comunità può mobilitare per ottenere benefici. Questo termine è stato esplorato e definito da vari filosofi, sociologi e antropologi nel corso del tempo. Tra i primi ad utilizzare il concetto di capitale sociale vi fu Pierre Bourdieu, che lo descrisse come l’insieme delle risorse attuali o potenziali legate al possesso di una rete durevole di relazioni più o meno istituzionalizzate di conoscenza e riconoscimento reciproco. Bourdieu sottolineava come il capitale sociale non fosse solo una questione di conoscenze, ma anche di riconoscimento e legittimità all’interno di una rete sociale.

Un altro importante contributo alla teoria del capitale sociale proviene da James Coleman, che lo ha considerato come una forma di capitale che esiste nelle relazioni tra persone. Coleman ha evidenziato l’importanza delle norme, delle sanzioni e della fiducia nella creazione del capitale sociale, sostenendo che questi elementi sono fondamentali per facilitare la cooperazione e il coordinamento all’interno delle reti sociali. In questo senso, il capitale sociale può essere visto come un bene pubblico che beneficia non solo gli individui che ne fanno parte, ma anche l’intera comunità.

L’Importanza del Capitale Sociale nelle Comunità

Il capitale sociale svolge un ruolo cruciale nel funzionamento delle comunità, influenzando vari aspetti della vita sociale, economica e politica. Robert Putnam, un altro studioso chiave in questo campo, ha esplorato come il capitale sociale influenzi la partecipazione civica e la qualità della vita nelle comunità. Nel suo libro “Bowling Alone”, Putnam ha documentato il declino del capitale sociale negli Stati Uniti, osservando una diminuzione nella partecipazione ad attività collettive e un calo della fiducia reciproca tra i cittadini. Egli ha sostenuto che un alto livello di capitale sociale è associato a una serie di benefici, tra cui una maggiore partecipazione civica, migliori risultati scolastici, minore criminalità e una salute pubblica migliore.

Il capitale sociale è anche fondamentale per lo sviluppo economico delle comunità. Studi hanno dimostrato che le reti sociali e le relazioni di fiducia possono facilitare lo scambio di informazioni, ridurre i costi di transazione e promuovere la cooperazione economica. Questo è particolarmente evidente nelle economie locali e nelle comunità rurali, dove le reti di relazioni personali possono compensare la mancanza di infrastrutture formali e di risorse istituzionali. Inoltre, il capitale sociale può giocare un ruolo importante nella resilienza delle comunità, aiutandole a superare crisi economiche e sociali attraverso la mobilitazione delle risorse interne e il supporto reciproco.

Critiche e Sfide del Capitale Sociale

Il concetto di capitale sociale non è stato esente da critiche. Il capitale sociale può avere effetti negativi, soprattutto quando è esclusivo o concentrato in gruppi chiusi. Ad esempio, i network sociali possono rafforzare le disuguaglianze esistenti e perpetuare il potere di gruppi dominanti, escludendo quelli che non fanno parte della rete. In questo contesto, il capitale sociale può diventare uno strumento di controllo sociale e di esclusione, piuttosto che di inclusione e coesione.

Un’altra critica riguarda la misurazione del capitale sociale. A differenza di altre forme di capitale, come quello economico o umano, il capitale sociale è difficile da quantificare e valutare. La sua natura intangibile e complessa rende difficile sviluppare indicatori affidabili e comparabili. Questa sfida è stata affrontata da vari studiosi attraverso l’uso di diverse metodologie, tra cui indagini, osservazioni etnografiche e analisi di rete, ma il dibattito su come misurare il capitale sociale continua.

Scrivere sulla coesione sociale mi riporta ai miei giorni da studente di sociologia.

La coesione sociale, in termini semplici, si riferisce al grado di solidarietà e legame tra i membri di una comunità o società. È un concetto che abbraccia la fiducia reciproca, il rispetto delle norme sociali, la partecipazione attiva nella vita comunitaria e un senso condiviso di appartenenza. Émile Durkheim, uno dei padri fondatori della sociologia, ha contribuito in modo significativo alla nostra comprensione della coesione sociale. Durkheim ha sostenuto che una società coesa è quella in cui c’è un alto grado di consenso sui valori e le norme fondamentali, e dove gli individui sentono un senso di obbligazione reciproca.

Gli elementi fondamentali della coesione sociale

Dalla mia esperienza, posso affermare che la coesione sociale si fonda su alcuni pilastri essenziali. In primo luogo, la fiducia è il collante che tiene unita la società. Quando le persone si fidano l’una dell’altra e delle istituzioni, sono più propense a cooperare e a contribuire al bene comune. La partecipazione civica è un altro elemento cruciale. Partecipare alle attività comunitarie, dalle elezioni alle iniziative di volontariato, rafforza i legami sociali e promuove un senso di appartenenza.

E poi, inevitabile, la giustizia sociale. Una società equa, dove le risorse sono distribuite in modo più uniforme e tutti hanno accesso alle opportunità, è una società coesa. Senza giustizia sociale, si creano fratture e disuguaglianze che minano la coesione. Infine, la solidarietà rappresenta l’impegno reciproco tra i membri della comunità, che si manifesta attraverso il supporto e l’assistenza in tempi di bisogno.

Anche da un punto di vista finanziario ho osservato come le comunità coese siano più resilienti e abbiano una maggiore capacità di affrontare le crisi economiche. Le reti sociali forti facilitano la diffusione delle informazioni, la collaborazione e l’innovazione, tutti fattori cruciali per la crescita economica.

Una società coesa è meno suscettibile ai conflitti sociali e alla criminalità, che possono avere effetti devastanti sull’economia locale e nazionale. La coesione sociale promuove anche un ambiente di fiducia che è essenziale per le transazioni economiche. Senza fiducia, il costo delle transazioni aumenta a causa della necessità di misure di sicurezza aggiuntive e di verifiche più rigorose.

Il problema della globalizzazione

Oggi viviamo in un contesto di mobilità e diversità culturale, che, sebbene arricchente, può anche creare i suoi mostri. La carenza di coesione sociale e la frammentazione sono tra questi.

Come sempre, non è tutto oro quel che luccica.

E come sempre, rimane nostro preciso compito continuare a mantenere alta l’asticella.

 

L’ANOVA, o Analisi della Varianza, è una tecnica statistica utilizzata per determinare se ci sono differenze statisticamente significative tra i medie di tre o più gruppi indipendenti. Anche se originariamente non specificamente progettata per l’analisi finanziaria, può essere utilizzata in questo contesto per esaminare vari scenari o gruppi di dati finanziari.

Come Funziona l’ANOVA

L’ANOVA funziona confrontando la variabilità tra i gruppi con la variabilità all’interno dei gruppi. L’idea di base è che se la variabilità tra i gruppi è significativamente maggiore rispetto alla variabilità interna, allora è probabile che le medie dei gruppi siano diverse. Il risultato principale di un test ANOVA è il valore F, che è il rapporto tra la varianza tra i gruppi e la varianza all’interno dei gruppi. Un valore F elevato suggerisce differenze significative tra le medie.

Applicazioni in Analisi Finanziaria

  1. Confronto di Strategie di Investimento: Supponi di voler confrontare le prestazioni di diversi fondi di investimento. Usando l’ANOVA, puoi determinare se le differenze nei rendimenti annuali di questi fondi sono statisticamente significative o se possono essere attribuite al caso.
  2. Analisi di Diversi Mercati o Periodi Temporali: Puoi utilizzare l’ANOVA per analizzare le prestazioni finanziarie di diverse regioni o in diversi periodi temporali (ad esempio, prima e dopo un particolare evento di mercato).
  3. Valutazione dell’Impatto di Fattori Economici: Se sei interessato a capire come vari fattori economici (come tassi di interesse, inflazione, ecc.) influenzano le azioni di un settore, l’ANOVA può aiutarti a determinare se le differenze nelle performance sono significative.

Come Usare l’ANOVA

  1. Raccolta dei Dati: Primo, devi raccogliere i dati finanziari che intendi analizzare. Questo potrebbe includere rendimenti di investimento, dati economici, ecc.
  2. Suddivisione dei Dati in Gruppi: I dati devono essere divisi in gruppi basati su criteri specifici (ad esempio, tipo di investimento, regione geografica, ecc.).
  3. Calcolo delle Statistiche: Calcola la media, la varianza e la deviazione standard per ogni gruppo.
  4. Esecuzione dell’ANOVA: Utilizza un software statistico per eseguire l’ANOVA e interpretare il valore F e il p-value per determinare la significatività statistica.
  5. Interpretazione dei Risultati: Se il test ANOVA mostra che le differenze sono statisticamente significative, puoi concludere che almeno una delle medie dei gruppi differisce in modo significativo dalle altre.

Ve lo chiedo con il cuore in mano: investite, va bene, fatelo. Ma con cognizione.

Mi è capitato di recente di chiacchierare con una persona molto giovane che aveva iniziato ad interessarsi di finanza, e vista la mia ormai veneranda età ha chiesto qualche consiglio.

Quello che ho fatto io in una sorta di terapia shock è stato mostrare questo dato:

Europa:

  • FTSE MIB (Italia): +1,23%
  • CAC 40 (Francia): +1,05%
  • DAX (Germania): +0,98%
  • IBEX 35 (Spagna): +0,87%

America:

  • S&P 500 (USA): +0,75%
  • Dow Jones Industrial Average (USA): +0,68%
  • Nasdaq Composite (USA): +0,59%
  • Bovespa (Brasile): +0,42%

Asia:

  • Nikkei 225 (Giappone): +0,31%
  • Hang Seng (Hong Kong): +0,25%
  • Kospi (Corea del Sud): +0,18%
  • Sensex (India): +0,12%

A quel punto ho chiesto a questa persona che informazioni trasse da questi dati, soprattutto in termini di performance.

Non me ne voglia la persona, se mi sta leggendo: è normalissimo per chi è alle prime armi non capire ancora come interpretare questi dati.

Ma bisogna averli ben chiari in mente prima di qualsiasi anche solo velleità di investimento “vero”.

Gli indici – cose da sapere assolutamente

Primo assunto: le performance passate non sono indicative delle performance future.

Poi, come ho detto in tante, tantissime occasioni: è importante diversificare il proprio portafoglio.

Ora, vediamo almeno una descrizione base dei singoli indici.

Gli indici sono importanti perché forniscono un’istantanea delle performance di un determinato mercato o settore. Sono utilizzati da investitori, analisti e media per monitorare l’andamento delle economie e dei mercati finanziari.

Storia e spiegazione dei principali indici finanziari

Indici Europei

  • FTSE MIB (Italia): Creato nel 1983, è l’indice principale della Borsa Italiana. Include i 40 titoli più liquidi e capitalizzati del mercato italiano.
  • CAC 40 (Francia): Creato nel 1987, è l’indice principale della Borsa di Parigi. Include i 40 titoli più capitalizzati del mercato francese.
  • DAX (Germania): Creato nel 1988, è l’indice principale della Borsa di Francoforte. Include i 30 titoli più capitalizzati del mercato tedesco.
  • IBEX 35 (Spagna): Creato nel 1987, è l’indice principale della Borsa di Madrid. Include i 35 titoli più liquidi e capitalizzati del mercato spagnolo.

Indici Americani

  • S&P 500 (USA): Creato nel 1957, è uno degli indici più importanti del mondo. Include i 500 titoli più capitalizzati del mercato azionario americano.
  • Dow Jones Industrial Average (USA): Creato nel 1896, è il più antico indice azionario americano. Include i 30 titoli più importanti del mercato americano.
  • Nasdaq Composite (USA): Creato nel 1971, è l’indice principale del Nasdaq Stock Market. Include tutti i titoli quotati al Nasdaq.
  • Bovespa (Brasile): Creato nel 1968, è l’indice principale della Borsa di San Paolo. Include i titoli più liquidi e capitalizzati del mercato brasiliano.

Indici Asiatici

  • Nikkei 225 (Giappone): Creato nel 1949, è l’indice principale della Borsa di Tokyo. Include i 225 titoli più capitalizzati del mercato giapponese.
  • Hang Seng (Hong Kong): Creato nel 1969, è l’indice principale della Borsa di Hong Kong. Include i 50 titoli più capitalizzati del mercato di Hong Kong.
  • Kospi (Corea del Sud): Creato nel 1983, è l’indice principale della Borsa di Seul. Include i 200 titoli più capitalizzati del mercato coreano.
  • Sensex (India): Creato nel 1986, è l’indice principale della Borsa di Bombay. Include i 30 titoli più capitalizzati del mercato indiano.

Come funzionano gli indici

Gli indici finanziari sono calcolati utilizzando diverse metodologie, come la capitalizzazione ponderata, secondo la quale i titoli con la capitalizzazione di mercato più alta hanno un peso maggiore nell’indice.

C’è anche l’indice ponderato sui prezzi, dove i titoli con il prezzo più alto hanno un peso maggiore nell’indice.

Sembra facile?

Forse.

Ma non lo è affatto.

Quindi, continua a studiare, o meglio trova un consulente finanziario che ti sappia affiancare in queste decisioni, che vanno ponderate con una scelta accuratezza, dato che in fondo è dei tuoi risparmi che si parla.