Si avvicina il primo marzo, data fatidica dalla quale si inizierà a pagare il biglietto per entrare al Met di New Work. In ambito di cura museale e critica d’arte, la notizia non è certo accolta di buon grado.

Ma prima non si pagava, al Met?

Passato dal pay as you wish, ovvero l’offerta libera, il colosso dell’intrattenimento di qualità forse più conosciuto di New Yotk all’estero, cesserà la propria politcy libertaria. Il motivo sembra essere un buco di bilancio abbastanza consistente. Convinto a licenziare curatori, il direttore Thomas Campbell, e addirittura a interrompere alcune mostre in corso d’opera, il Met è quindi in difficoltà.

Se su questo dato lasciamo la competenza ai curatori museali newyorkers, possiamo in tutta serenità pensare alla nostra situazione italiana, e occuparci di quella. Quanti musei a entrata gratuita abbiamo in Italia? Ricordo non troppi anni fa lo stupore dell’entrare alla National Gallery, patrimonio artistico unico, inimitabile. Il pay as you wish era nella forma di un’urna trasparente, come quelle delle mance in alcuni locali e pub.

Non mi risulta che la National Gallery stesse affrontando una situazione di bilancio complessa, almeno quanto quella che le cronache attribuiscono al Met.

Ma mi posso spiegare l’insorgere dell’opinione pubblica contro il provvedimento, anche perché vedo delle cifre di biglietti che risultano abbastanza onerose per il consumatore. Lo stesso cospargersi il capo di cenere si è visto quanto un simile innalzamento repentino ha avuto luogo per gli Uffizi di Firenze.

Insomma, valutate le comprensibili necessità di bilancio: una via di mezzo, come un biglietto a prezzo popolare, non potrebbe essere una soluzione? Con la debita campagna pubblicitaria, per la quale sto già elaborando titoli. “Meet the Met” è finora in cima alla lista.