Ora che abbiamo salutato con commozione l’amico Bordin, la contestualizzazione su Radio Radicale è d’obbligo. Com’è possibile che uno dei radiogiornali più seguiti si ritrovi a rischio chiusura imminente, come paventato non solo dalle illazioni di alcuni esponenti in vista della politica, ma anche da indizi contenuti nella Legge di Bilancio 2019. Ecco il dettaglio:

“1) Le novità in materia di disciplina dei contributi diretti introdotte dalla L. di bilancio 2019
La L. di bilancio 2019 (L. 145/2018: art. 1, co. 810, lett. b) e c)) ha previsto la progressiva riduzione, fino alla totale abolizione dal 1° gennaio 2022, dei contributi concessi, ai sensi del d.lgs. 70/2017 (art. 2, co. 1), alle seguenti categorie di imprese editrici di quotidiani e periodici:
imprese editrici costituite come cooperative giornalistiche che editano quotidiani e periodici;
imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale sia detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi fini di lucro;
enti senza fini di lucro, ovvero imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale sia da essi interamente detenuto.”

Abbastanza chiaro quindi l’obiettivo di riduzione del contributo annuale, ma alla cessazione paventata del servizio di diretta parlamentare di Radio Radicale contribuisce anche la rimessa in discussione, attraverso istituzione di nuova gara, proprio dell’affidamento di quel servizio, che per tacito accordo era ogni anno rinnovato a RR.

Come commentare in quest’ottica la sopravvivenza o meno della Radio?

Non mi pronuncio sulla scelta politica contenuta nella Legge di Bilancio, ma mi sorge spontanea una domanda: come giustifichiamo il finora onestissimo contributo elargito all’editoria? L’intento, finanziare il pluralismo dell’informazione. Un obiettivo direi raggiunto, considerando che Libero e il Manifesto, giornali non certo filo-governativi e dalla linea tutto sommato molto diversa, ne usufruiscono. Parlare di giornale cartaceo, testata online, o parlare di radio, per conto mio in questa sede non ha troppa differenza. Lo stesso per quanto riguarda l’editoria. Il pluralismo dell’informazione non riguarda necessariamente la partigianeria politica, si può riferire anche e semplicemente alla pluralità di approcci culturali. Ma allora chi fissa il limite di cosa merita il compenso e cosa non lo merita?