Arrivato all’apice della fama e dei riconoscimenti pubblici, Checov rimette a posto molti aspetti della sua vita, un attimo prima della morte per tubercolosi. Si sposa con un’attrice moscovita, compra una casa a Yalta, in Crimea, per trascorrere delle giornate vicino al mare respirando aria buona.

Ha appena scritto “Il giardino dei ciliegi”, tra sbocchi di tosse, consigli dei medici, e pressioni di Nemirovski e Stanislavski, da Mosca. Comincia a fare il punto dell sua opera artistica, e a chiedersi se tra i suoi 250 racconti ci sia mai stato un filo conduttore.

La verità

Mai si deve mentire. L’arte ha questo di particolarmente grande: non tollera la menzogna. Si può mentire in amore, in politica, in medicina; si può ingannare la gente, persino Dio; ma nell’arte non si può mentire. Mi si rimprovera di scrivere solo di avvenimenti mediocri, di non avere eroi positivi.

Ma dove trovarli, questi eroi positivi, se attorno a lui le strade non sono nemmeno lastricate, si muore di fame, l’ambiente provinciale, i godimenti sono piccoli e le gioie noiose.

Volevo solo dire alla gente in tutta onestà: guardate, guardate come vivete male, in che maniera noiosa. L’importante è che le persone comprendano questo; se lo comprendono, inventeranno sicuramente una vita diversa e migliore.

Muore tentando una cura in Germania, in compagnia della moglie.

Non ci sono eroi

Termina così la vita di un grandissimo di ormai due secoli fa, ma dalla modernità indiscutibile. I suoi non sono eroi, non ci sono palpiti di nazionalismo, nè fremiti politici tra i suoi pacati industriali, provinciali possidenti terrieri, aristocratici decaduti, ma nemmeno tra i suoi popolari. In lui c’è uno Zola senza eroismo.

Se una biografia non definisce la qualità artistica di un’opera, ho comunque voluto parlare di questo personaggio che fin da ragazzo mi ha sempre affascinato, con il suo tratto di deciso realismo, con la sua coerenza costi quel che costi.

Un uomo del nostro tempo forse, più che del suo.