Immaginavo che prima o poi nel bel mezzo di queste peregrinazini normative qualcuno avrebbe alzato pacatamente le antenne, chiedendosi: ma dove sta andando a parare?

In un blog che si occupa di cultura, ha in effetti senso chiedersi che ruolo abbia il giornalismo… Sì, ha senso, ma in termini diffusivi più che sostanziali. Il giornalismo, e il radiogiornalismo, stanno però alla diffusione della cultura, spesso, come il volantino sta al successo del locale notturno. Qualcuno si fermerà per provare il coktail più insolito millantato da quei quadratini di carta sempre più centimetrici che distribuiscono nelle zone della movida. Ma quanti, dico, quanti almeno che non frequentano già quell’intorno, andranno effettivamente nel bar pubblicizzato dal quadratino suddetto? Io potrei riferirmi a una fascia d’età che paradossalmente è più avulsa dalle logiche della carta stampata con intenti pubblicitari. Noi persone della mia età, diceva sempre un mio conoscente di una ventina d’anni meno attempato, tendiamo a spregiare la carta in una iper-correzione dovuta al nostro volerci omologare al digitale. Come a dire, non siamo digitalizzati a sufficienza, e vogliamo mostrare di esserlo. O meglio, direi io, come diceva Baricco parlando della barbarie: siamo profondi come istanze di base. Ci avviciniamo quindi alla digitalizzazione con la nostra abituale profondità, e vediamo il cubetto di carta come obsoleto, vintage. Invece dovremmo con la volatilità rapida dei “giovani” afferrare il volantino, cercarci la suggestione visiva e la promozione, come gli esseri umani ancora fanno con le immagini anche fisse.

Comunque, è fatta e rifuggo il giornalismo e il radiogiornalismo. Non penso che la promozione culturale possa passare solo da lì. Penso però che se parliamo di sovvenzioni statali, sia un OBBLIGO parlare dell’editoria in senso ampio. I libri, le case editrici. Quelle buone, che ancora cercano di riportare il classico sotto la migliore luce, quelle che ospitano i contemporanei quanto basta per non curarli troppo. Che su questi contemporanei attuano un lavoro di selezione professionale, e non emotivista. Io vorrei uno Stato che finanzi le opere d’arte buone, ben fatte, professionali. Anche se il criterio è difficile da trovare, ma penso che potrei proporre qualche buon nome per una ipotetica giuria. Per ora, tutto questo è utopia. Pura.