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Quanto di più temuto da un naturologo dell’epoca, la condanna di Plinio il Vecchio ha impressionato molti studenti.

La condanna dello scienziato

Così mi piaceva concepirlo in adolescenza, come un martire votato alla Verità al di sopra del reale pericolo che questa comportava. L’episodio del Vesuvio che esplode in fiamme e lapilli è indicativo di questa tendenza: la condanna è quella di non abbandonare i ranghi in ogni senso possibile.

Un incidente mortale

Va detto infatti che Plinio il Vecchio non solo volle, come racconta il nipote, arrivare il più vicino possibile al vulcano. Ma anche, e forse soprattutto, voleva mantenere i ranghi, essendo a capo della flotta stanziata al Capo Miseno. L’incidente mortale del quale fu vittima fu quindi anche la fine delle sue scoperte scientifiche, che per l’epoca furono assai promettenti. Ma anche, probabilmente, la fine delle prospettive per il nipote, che certo non sarà stato indifferente a fomentare la fama dello zio, anche per un possibile tornaconto personale.

Lo dico senza intenzioni negative o machiavelliche, semplicemente dopo la Storia romana di Mommsen non credo sia più possibile prescindere da queste interpretazioni res-publicane.

Condannato dalla fame per il sapere

Questo, del “condannato dalla fame per il sapere”, è il profilo che conosciamo di Plinio il Vecchio.

E’ anche piuttosto facile adattarsi a un modello senza conoscere, oltre alla lettera del nipote, altra fonte storica e letteraria. Certo, mi si potrà obiettare, non è facile cogliere un uomo in punto di morte mentre si arrampica sul Vesuvio. E d’accordo, già Plinio il Giovane è stato fortunato a scamparla, probabilmente. Tuttavia va ricollocato nella sua cornice: Plinio il Vecchio era certamente un appassionato di natura, ma anche un uomo del suo tempo.

Condannato dalla sua fame del sapere, sicuramente un ruolo l’avrà giocato anche la fame di gloria.

E possiamo dire che alla fine aveva ragione lui.

La condanna forte e decisa alla guerra e alle sue atrocità trova in Guernica, la grandiosa opera d’arte dell’artista spagnolo Pablo Picasso, una delle sue denunce più forti ed emotivamente turbanti.

Proprio in questi giorni, il 26 Aprile ricorre l’anniversario del bombardamento del quartiere spagnolo che dà il nome all’opera, bombardamento che colpì non obbiettivi strategici ma gruppi di civili. L’atrocità di quell’avvenimento scosse a tal punto Picasso che in breve tempo stese l’opera dall’enorme grandezza di tre metri e mezzo di altezza e quasi otto di lunghezza. Venne esposta alla Mostra Universale di Parigi del 1937, la cui istallazione ne decise il senso di lettura da destra verso sinistra.

Io ho avuto la fortuna di poter vedere fisicamente questa straordinaria opera, anche se vedere in questo caso particolare risulta riduttivo. Si viene letteralmente sovrastati, travolti e sconvolti. Questa è la sensazione che l’artista vuole far provare a chi si trova davanti a questo capolavoro, per far rendere conto allo spettatore, anche che in minima parte, lo sconvolgimento delle persone strappate alla loro semplice quotidianità. Inutile dire che ci riesce benissimo.

Picasso è un pittore particolare e non amato da tutti, ma che lo si ami o meno, qui non è importante. La totale assenza di colore, la struttura del disegno in cui lo spazio è completamente schiacciato, le figure con i tratti volutamente così deformati, la scomposizione del tutto. Sconvolgente. Io ricordo di essere rimasto scosso da quella visione, probabilmente anche perché chi è della mia generazione la guerra la ricorda e la sente vicina, anche solo avendo ascoltato i vividi racconti dei genitori.

Una condanna che giunge fino ai giorni nostri

Un quadro ideato per rappresentare una strage di civili, gli orrori di una guerra passata, ma guardandolo non si può non percepire quanto Guernica sia attuale.

Le stragi che continuiamo a portarci dietro mettono noi esseri umani sul banco degli imputati, ci ricordano come possiamo essere giudici, testimoni, carnefici e vittime insieme.

Guernica però ci ricorda che c’è anche una speranza, speranza nel cambiamento, speranza che l’esperienza di queste insensate atrocità ci faccia unire in un vivere civile collettivo. Relegando la violenza nel passato, in bianco e nero, come il mondo estremo e polarizzato che sottende.