Melancolia e introspezione, queste sono le due grandi parole chiave di questo strano periodo.

Ma, universale benché non univoca, l’arte è sempre lì, a cercare di cambiare le nostre prospettive, il nostro senso estetico.

Il nostro modo di concepire il mondo.

Mi vedrete in una veste celebrativa che – lo ammetto – non mi è proprio consona. Però, ho pensato, ogni tanto bisogna dare credito a chi se lo merita. Bisogna fermarsi, ascoltare il VolkGeist e cercare di porre rimedio alla barbarie che costantemente ci assilla.

Siamo davvero una comunità gobale?

Una delle grandi sfide di oggi è che spesso non ci sentiamo toccati dai problemi degli altri e da questioni globali come il cambiamento climatico, anche quando potremmo facilmente fare qualcosa per aiutare. Non sentiamo abbastanza fortemente che siamo parte di una comunità globale, parte di un noi più grande.

Dare alle persone l’accesso ai dati il più delle volte le fa sentire sopraffatte e scollegate, non responsabilizzate e pronte all’azione.

Solo l’arte fa la differenza

È qui che l’arte può fare la differenza. L’arte non mostra alle persone cosa fare, ma impegnarsi con una buona opera d’arte può connetterti ai tuoi sensi, al corpo e alla mente. Può far sentire il mondo. E questa sensazione sentita può stimolare il pensiero, l’impegno e persino l’azione.

Ogni artista forse sogna di viaggiare in molti Paesi del mondo. Un giorno può trovarsi di fronte a un pubblico di leader mondiali.

Il giorno successivo, scambiare pensieri con un ministro straniero e il giorno dopo discutere la costruzione di un’opera d’arte o di una mostra con artigiani locali.

La maggior parte degli artisti si sa commuovere per un’opera d’arte. Quando l’opera arriva, tutti noi ci commuoviamo. Diventiamo consapevoli di una sensazione che non ci è sconosciuta, ma sulla quale non ci siamo concentrati attivamente prima. Questa esperienza trasformativa è ciò che l’arte cerca costantemente.

(continua)