Il povero Patroclo, amico e amante di Achille e oggetto del suo desiderio, viene spesso dipinto con un povero inetto.

Non parlo ovviamente dell’Iliade, che ne dà un’immagine ben definita e addirittura dotata di personale sfoggio di coraggio.

Parlo piuttosto della vulgata, dell’immagine che ci siamo tutti fatti di questo mortale sempre stampella del più famoso e valoroso Achille. In realtà chi ha studiato un po’ meglio le pagine omeriche, sa che Patroclo è protagonista di una vera e propria aristìa, cioè il momento in cui si mettono in mostra tutte le proprie abilità belligeranti uccidendo un numero di solito spropositato di nemici.

Per Patroclo l’aristia assume tratti iperbolici quasi surreali. Compie una strage di 27 nemici in soli tre assalti. Il problema è che alla fine nella propria dimostrazione di valore si ostina a inseguire i Lici e i Troiani.

Il narratore onnisciente attribuisce a questa sua mancanza la nera sorte che mi toccherà: di nuovo il commento del poeta onnisciente arriva quando Patroclo si lancia nuovamente nella mischia. Gli viene chiesto, in un’apostrofe che ha lo scopo di scuscitare pathos: “a chi allora per primo, a chi togliesti per ultimo l’armi, quando gli dei ti chiamarono a morte”?

Patroclo e l’ubris

Ho citato il passaggio solo per non dare adito a interpretazioni: si è portati a credere che l’eccessiva manifestazione di buone qualità (ubris) scontenti dei olimpici, ed è quasi sempre così per gli altri.

Però in questo caso il poeta è più che altro in empatia con Patroclo. Gli dice di tornare a casa, di ripararsi, di sfuggire dal Fato, non che le sue azioni eroiche sono eccessivamente iperboliche e gli stanno provocando la morte.

È evidente che a differenza di altri personaggi, Patroclo suscita la compassione reale del poeta, l’immedesimazione. Un poveretto, più che una minaccia, per gli dei.

Probabilmente era il personaggio in cui davvero l’uditorio si immedesimava, quella del povero mortale sottostante al fascino di qualcuno di infinitamente superiore a sé, Achille.

Forse come l’uomo di teatro che sottostava al fascino degli attori in scena, della  messinscena stessa.