Non vorrei essere profetico, ma ora che rileggo il mio precedente intervento, a giochi fatti quella “ricerca spasmodica del cinema drammatico e sociale ad ogni costo” sembra più che mai reale.

Il film vincitore di questa edizione è stato “Parasite” di Bong Joon-ho, regista coreano contemporaneo che già nel 2017 aveva scatenato non pochi pruriti sempre al festival, con il suo ” Okja”.

Ma andiamo con ordine, il regista si può dire che abbia attirato il faro dell’opinione pubblica con il suo socialissimo “Snowpiercer”. Un thriller fantascientifico, un treno bloccato nel ghiaccio nel quale convivono gli appartenenti a classi sociali diverse, con diversi privilegi. IL gioco della rivolta degli inferiori è rappresentato con le tinte incalzanti della fantascienza.

Le tinte diventano non meno labili ma più fiabesche in “Okja”. Okja è una satira sociale in piena regola, che non manca di staffilare il marketing e le logiche della grande distribuzione, non meno che l’animalismo più becero. Da questo film in poi ho il mondo cinefilo ha iniziato a guardare il regista coreano con qualche grammo di interesse in più: un conto è il film distopico, molto alla moda e quasi abusato da teen movie sull’onda di Hunger Games. Ma qui non siamo in un teen movie, sicuramente, e nemmeno nel tono naif e pregnante del cinema d’animazione di Myazaki. Pure molto di moda, peraltro.

Okja sta nel mezzo, con la sua forte carica di esplicita satira sociale.

“Parasite” è la versione scremata dal contesto, possiamo dire, di questo interesse del regista per la classe sociale, che inizia con la fantascienza di Snowpiercer e prosegue nell’animalismo. Parasite è una storia di riscatto vero e proprio, ma con una punta di thriller. Diciamo che l’aspetto sociale è decisamente quello più riuscito, e quello che ha più incantato la giuria occidentale e affascinata dall’occhio critico di un degno esponente di un PAese emergente. Inutile dirlo: Paese con contraddizioni sociali eclatanti.