Nella scorsa puntata abbiamo parlato di Virbio, una delle altre divinità del bosco di Nemi in cui si praticava l’uccisione rituale dei sacerdoti in nome della dea Diana Nemorensis.

Una storia inventata

La storia inventata per giustificare il culto di Virbio vicino a quello della Diana nemorensis è del tutto priva di fondamento storico. Si tratta di un mito elaborato per spiegare le origini di un rituale religioso e che ha come unico fondamento analogie reali e immaginarie che si trovano in quel rituale. Infatti non si capisce a chi sia stata attribuita la paternità dei culti nemorensi.

A Oreste o a Ippolito?

Certo, queste giustificazioni storiche di questi fatti inventati ci danno la cifra di quanto sia antico il rituale e di quanto si perda nella notte dei tempi.

L’opinione di Catone il Vecchio

Una versione più storica è sostenuta da Catone il vecchio, che parla dell’istituzione del Bosco sacro a Diana da parte di un certo Egerio Bebio o Levio, di Tuscolo. Fu dittatore latino per l’incarico degli abitanti di Paesi confinanti.

Il santuario sarebbe stato antichissimo, risalente al 495 avanti Cristo, anno in cui Pomezia fu messa a Ferro e Fuoco dei romani e scomparve dalla storia.
È però insolito pensare che una norma così barbarica e cruenta sia stata istituita da un consesso Civile con quello dei popoli latini. Probabilmente era una regola tramandata di generazione in generazione da un’entità anteriore alla memoria umana, quando l’Italia era ancora uno stato primitivo.

Ricordate il detto in Latino “vi sono molti Mani ad Ariccia”?

Alcuni spiegano il detto affermando che Egerio fu progenitore di una lunga e illustre schiatta, mentre altri ritengono che il detto si riferisca alla presenza in Ariccia di molta gente brutta e le forme, dove Manius è Mania lo spauracchio per i bambini, una sorta di uomo nero. Un autore satirico romano chiama Manio il mendicante che sosta sulle pendici di Aricia in attesa dei Pellegrini.

Interpretazioni diverse

Tutte queste interpretazioni diverse, e questa strana discrepanza fra Egerio di Ariccia e Levio di Tuscolo, oltre alla somiglianza dei due nomi con quello della mitica Egeria, tutti questi dettagli suscitano un certo sospetto. Non possiamo comunque rifiutare quello che dice Catone il vecchio, quindi possiamo considerare questa costruzione come una sorta di restauro o meglio rimessa in attività.
Questa vicenda ci spiega ancora una volta come per interpretare i miti classici serva un occhio che va oltre quello dell’archeologo e oltre a quello dell’antropologo.

Serve una visione d’insieme.