Di sé Anton Checov, dopo la laurea in medicina, scrive:

Perché non scrivere per esempio la storia di un giovane, figlio di un servo della gleba, già bottegaio e cantore, studente ginnasiale e poi universitario , educato al rispetto della gerarchia e a baciare la mano dei popi? UN giovane che si inchina la pensiero altrui, ringrazia per ogni tozzo di pane, viene frustato più di una volta, va in giro a dar lezioni in inverno senza soprascarpe… Perché non raccontare come questo giovane tenti di liberarsi, goccia a goccia, dello schiavo che è in lui e come, svegliandosi una mattina, egli si renda conto che nelle sue vene non scorre più sangue di schiavo, ma di vero uomo?

Una testimonianza schietta della idea che il giovane drammaturgo aveva della sua virata verso il successo nella vita.

Invitato a Lejkin, a Pietroburgo, da alcuni amici, Checov scopre di avere nella capitale una inaspettata popolarità. Gli viene offerto un posto fisso in una rivista, dove potrebbe scrivere senza limiti di lunghezza e in modo regolare, a patto che scriva con il suo vero nome e non sotto pseudonimo.

Il venticinquenne Checov, ormai votato alla carriera medica, rifiuta. Accetterà di scrivere con il suo vero nome solo dopo la commossa lettera di un ammiratore. E’ il 1887 e esce la sua raccolta di racconti che verrà poco più tardi premiata dal premio Puskin: “Il Crepuscolo”. Nello stesso anno Checov ritorna al teatro, ma la compagnia teatrale non è all’altezza della messinscena: quattro prove invece delle dieci concordate, attori ubriachi in scena, poco naturalismo, battute stravolte per strappare degli applausi dal pubblico. Due repliche, e l’opera è tolta dal cartellone.

Il successo letterario delle sue prose comincia a incrementarsi, e tra circoli letterari cominciano a tentare di indovinare l’appartenenza politica di Checov. Lui si definisce né liberale né conservatore, e tanto basti alle speculazioni della società moscovita.

Il teatro gli languisce, non si capisce se per la necessità di prosa o se per la scarsa qualità degli attori con i quali Checov ha a che fare. Mentre auspica un ritorno del teatro dalle mani dei bottegai a quelle dei veri artisti, comincia però a essere apprezzato anche sul palcoscenico.