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Corrente avanguardistica indispensabile per chi vuol dirsi un conoscitore della settima arte, il nuovo cinema brasiliano o Cinema Novo ha tanto, davvero tanto da raccontarci.

Facciamo qualche nome giusto per non rimanere completamente digiuni da questa corrente da riscoprire in toto.

Oscarito e Grande Otello

Qui si svilupparono le carriere di una grande squadra comica, Oscarito e Grande Otello. In particolare, sono apparsi in Carnaval Atlântida (1952, regia di José Carlos Burle), dove un produttore cinematografico di nome Cecilio B. de Milho cerca di filmare la vita di Elena di Troia alla maniera “epica” di Hollywood.

Oscarito interpreta un anziano professore di lettere, il professor Xenofontes, che aiuta i registi, mentre Grande Otello, nei panni di un malandro carioca (una tipica canaglia di Rio), aiuta a convincere i produttori che il film dovrebbe essere meno serio, più popolare e forse anche completamente infedele all’originale.

Lo studio Vera Cruz

Il successivo e più ambizioso sforzo dello studio brasiliano, Vera Cruz, a San Paolo, lavorò direttamente contro la volgarità percepita della chanchada popolare, cercando di produrre film che potessero competere a tutti i livelli con le produzioni straniere.

Sfortunatamente, i cineasti della Vera Cruz trascurarono di prendere in considerazione i gusti del pubblico brasiliano, fornendo loro film sofisticati ma di stampo europeo, e la società si chiuse dopo aver realizzato solo 18 lungometraggi nel 1954.

Il loro più grande successo fu il brasilianissimo O Cangoceiro (Il bandito, 1953, regia di Lima Barreto), che batté i record di incassi locali, vinse due premi a Cannes nel 1954 e fu distribuito in 22 paesi.

Alberto Cavalcanti

Alberto Cavalcanti, il regista brasiliano di maggior successo prima degli anni Sessanta, era stato assunto dalla Vera Cruz nel 1949 come responsabile della produzione, ma se ne andò prima del fallimento (forse fu licenziato) e girò altri due film per un’altra società, uno dei quali, O Canto do Mar (Il canto del mare, 1953), nel suo “realismo” anticipava il periodo più importante della storia del cinema brasiliano, il Cinema Nôvo degli anni Sessanta.

Il più grande Paese dell’America Latina, sia per estensione geografica che per popolazione, il Brasile è anche la patria di un importante cinema nazionale, che in Nord America e in altre parti del mondo ha ricevuto meno riconoscimenti di quanti ne meritasse, fino al recentissimo successo internazionale di Central do Brasil (Stazione centrale, regia di Walter Salles, 1998) e di Cidade de Deus (Città di Dio, 2002) di Fernando Meirelles/Katia Lund.

La prima proiezione di film in Brasile ebbe luogo nel 1896, solo sei mesi dopo la prima proiezione dei fratelli Lumiere a Parigi. Nel 1898, un italo-brasiliano, Affonso Segreto, iniziò a produrre film e, a partire dal 1900, i film di produzione locale iniziarono a dominare gli schermi brasiliani.

L’età dell’oro del cinema brasiliano

Il periodo 1908-1912 è stato definito la bela época, l'”età dell’oro” del cinema brasiliano, in cui la produzione raggiungeva i 100 cortometraggi all’anno. Dopo che nel 1911 gli imprenditori nordamericani furono accolti per sfruttare il mercato dell’esercizio cinematografico brasiliano, i film stranieri cominciarono a prendere il sopravvento. Sempre più spesso, durante gli anni rimanenti del cinema muto, i registi brasiliani furono relegati a produrre cinegiornali e documentari.

Tuttavia, da questo campo emersero alcuni film di finzione, tra cui le produzioni dell’immigrato italiano di San Paolo Gilberto Rossi, di cui il cortometraggio Exemplo Regenerador (Esempio moralizzatore, 1919), diretto e scritto dallo spagnolo José Medina, è l’unico esempio sopravvissuto del lavoro del gruppo. Il cinema brasiliano fu sostenuto per tutti gli anni Venti da cineasti che lavoravano lontano dai centri urbani di Rio de Janeiro e São Paulo in “cicli” regionali. Tra questi Silvinio Santos a Manaus (Amazzonia), Edson Chagas e Gentil Roiz a Recife (Pernambuco) e, soprattutto, Humberto Mauro a Cataguases (Minas Gerais). Questa cinematografia “indipendente” si orientava naturalmente verso l'”avanguardia” e un film realizzato in questo senso, Limite (Il confine, 1930), diretto dal diciottenne Mario Peixoto, anche se all’epoca non era molto visto, ha poi acquisito una tale notorietà da essere in cima alla lista dei “30 film più significativi della storia del cinema brasiliano” in un sondaggio dei critici cinematografici brasiliani degli anni Ottanta.

L’arrivo del sonoro

Spesso la tecnologia favorisce l’acculturamento.

Con l’avvento del sonoro e un problema linguistico per il pubblico di lingua portoghese che doveva continuare a guardare i film di Hollywood, il cinema brasiliano si è finalmente industrializzato. Adhemar Gonzaga fondò la Cinédia Sudios a Rio e un nuovo genere, molto brasiliano, dominò la sua produzione, la chanchada, che derivava dalla “revue” hollywoodiana e dal backstage dei musical mescolati al teatro comico brasiliano e al carnevale.

Carmen Miranda divenne una star di Cinédia e la sua “defezione” a Hollywood scatenò un’ondata di film brasiliani (e di altri film pan-latinoamericani) a tema, nell’ambito della politica del “buon vicinato”, che non fece nulla per promuovere i film latinoamericani negli Stati Uniti e il cui risultato più notevole fu l’incompiuta docufiction di Orson Welles, It’s All True (1941-42).

Nel 1943, Moacyr Fenelon fondò gli studios Atlântida a Rio, dove fu perfezionata la forma della chanchada, in cui la parodia fu sempre più incorporata, in parte con la consapevolezza che i film brasiliani non avrebbero mai potuto eguagliare la brillantezza tecnica di Hollywood.

(continua)

A prima vista la nave degli schiavi sembra raffigurare un bel tramonto su un mare tumultuoso. 

Un netto contrappunto agli orrori e alla barbarie che sono il vero soggetto. 

La fine della schiavitù

La partecipazione britannica alla tratta degli schiavi era illegale dal 1807, invece la schiavitù venne bandita nell’impero britannico meno di una trentina di anni dopo. 

Il dipinto fu inizialmente di proprietà del critico d’arte John Ruskin, ma alla fine il peso della proprietà divenne troppo per lui, così lo vendette. In America fu poi esposto nel 1877 al Museum of Fine Arts di Boston, dove avrebbe avuto un ruolo importante nel loro dibattito abolizionista, dato che la schiavitù americana era stata ugualmente abolita (1865).

Il soggetto del quadro è nel suo titolo originale completo “Schiavisti che gettano in mare i morti e i morenti – Tifone in arrivo”. Deriva dalla pratica comune, brutale e macabra nella rotta del Medio Passaggio della tratta degli schiavi dell’Atlantico di gettare in mare gli schiavi malati perché erano assicurati contro l’annegamento, ma non contro la morte per malattia. E nello specifico si riferisce al viaggio della Zong nel 1783, quando 132 schiavi furono uccisi in questo modo. Solo merci deperibili danneggiate nel trasporto e scartate.

Il grande amico e mecenate di Turner dalla fine del 1700 fino alla sua morte nel 1825 era il proprietario terriero, deputato, scrittore e attivista politico Walter Ramsden Fawkes che aveva fatto una campagna a fianco di William Wilberforce per l’abolizione della schiavitù. Turner aveva forti convinzioni su questa grande causa politica dell’epoca. Le sue convinzioni politiche significarono anche che prese una posizione contro la guerra con il suo dipinto ad olio Il campo di Waterloo del 1818, che infastidì così tante persone che fu tenuto sotto chiave per decenni. Fece anche una campagna per la riforma del voto con il suo acquerello Northampton del 1830, che è evocativo della rivoluzione francese.

Cenni di vita di un grandissimo artista

Turner fu professore di prospettiva alla Royal Academy per 30 anni, quindi non sorprende che in Slave Ship abbia usato molte tattiche per creare uno spazio fittizio credibile e per sospendere la nostra incredulità, in modo che il terrore colpisca in pieno. La composizione è dipinta da una prospettiva elevata, come se si guardasse dal ponte di un’altra nave. Il bagliore riflesso del sole taglia un solco attraverso il tumulto, fornendo il nostro riferimento principale e formando una croce cristiana con l’orizzonte. Altre linee all’interno del dipinto puntano verso il sole come punto di fuga, la scala comparativa tra gli oggetti in primo piano e la nave rafforza l’effetto.

Il dipinto è totalmente asimmetrico e in gran parte privo di dettagli. La nave in lontananza a sinistra è uno spettro che naviga verso una vastità oscura (o è una costa rocciosa con frangenti alla sua base?). Questo immaginario può essere visto come una condanna della natura dell’atto, una punizione divina. In primo piano ci sono gli schiavi morti e morenti, divorati dalla vita marina e abbandonati al loro destino, posti vicino allo spettatore dell’immagine per il massimo impatto orribile.

L’uso del tono è drammatico e convincente. La semi-silhouette oscurata della nave a cavallo tra le aree più chiare e quelle più scure dell’immagine. La luminosità generale della parte destra dell’immagine che contrasta con l’oscurità generale della parte sinistra. E attraverso tutto questo la luminosità bruciante del tramonto che divide in due l’intera composizione e la trasforma in una sorta di trittico. Il cielo a sinistra, sopra la nave, è lacerato e violento mentre a destra è calmo e tranquillo, con macchie di blu.

Mentre la luce dovrebbe venire verso di noi dal tramonto, Turner ha usato la licenza artistica per farla arrivare da molte direzioni, per esempio illuminando il nostro lato della nave e la gamba ammanettata che spunta dall’acqua. Questa libertà gli permette di modellare il mare in modo che le onde siano tangibili, con forma e volume reali, mentre allo stesso tempo sono impegnate in un violento tumulto e movimento. 

Ecco che basta poco, per capire quando un quadro è un grande quadro.

Ma dubito che sia facile ottenere l’effetto, da parte di chi crea.

Quindi, godiamoci Turner!

Un altro anno di pandemia grava nella nostra memoria e viene – speranzosamente – additato come lontano da molti, esperti e non.

Che poi, si può essere esperti di pandemie?

Oggi vorrei, con piglio ostinato e non poco greve, ricominciare. Credo che anche per chi ha visto ben altre rivoluzioni, dal crollo del muro di Berlino e fine dell’Unione Sovietica, fino ai racconti crudeli dei reduci delle guerre mondiali, gli anni di piombo, la mafia, insomma anche per chi pensava di passare un tramonto felice, sia occorso questo impedimento.

Forse chi è più navigato rimane meno colpito dagli stravolgimenti della sorte, e nel contempo ne è più consapevole. Forse non sono altro che uno dei tanti miei coetanei, costretto a tramutare una sensibilità storica in un dibattito completamente nuovo, che riguarda cifre, numeri, sanità e salute pubblica.

Quel che mi colpisce molto, e che per me è una categoria del tutto nuova, è la sopravvivenza del pensiero politico, anche in questo tipo di problematica universale e a cui tutti siamo in qualche modo sensibili.

La politica emerge sempre, e dobbiamo considerare sempre la sua forza, quando si tratta di interpretare la realtà e di prendere delle decisioni orientate al bene comune.

Ecco quindi che il mio piglio diventa sartriano, comptiano: sono pronto ad affrontare questo nuovo anno con un occhio più critico, più sociologico, e più attento a una dimensione della cultura che sia viva, popolare nel senso di proveniente dalle masse.

L’elitarismo sta scricchiolando. 

Andiamo su impalcature più robuste.

Gli studiosi sapevano che l’opera su Guillaume d’Orange e il sanguinoso assedio della sua città esisteva, ma fino ad ora credevano che fosse andata completamente perduta.

Il frammento ritrovato appartiene alla Chanson de Guillaume d’Orange, un poema francese del 12° secolo, precedentemente creduto perso per sempre.

Invece, nella Bodleian Library di Oxford, un’accademica l’ha ritrovato, quasi per caso.

Tamara Atkin, della Queen Mary University di Londra, stava facendo ricerche sul riutilizzo dei libri durante il XVI secolo, quando si è imbattuta nel frammento del finora perduto, che era infilato nella rilegatura di un libro pubblicato nel 1528. La pergamena e la carta erano costose all’epoca, e i manoscritti e i libri indesiderati venivano spesso riciclati.

Le notizie fino a oggi

L’opinione comune era che il poema, che proviene da un ciclo di chansons de geste su Guillaume d’Orange, esistesse, ma prima non c’erano prove fisiche che questo fosse vero. Il frammento ha solo 47 righe, ma prova l’esistenza di un poema che si pensava fosse stato completamente perso.

La Chanson de Guillaume d’Orange

Il poema è ambientato nel IX secolo, durante il regno di Luigi il Pio, figlio ed erede di Carlo Magno. Atkin ha detto che mentre si crede che sia stato composto alla fine del XII secolo, il frammento stesso proviene da una copia fatta in Inghilterra alla fine del XIII secolo.

Bertram sta chiedendo aiuto al re per alleviare l’assedio di Orange, una città nella valle del Rodano, descrivendo le terribili condizioni dell’assedio. 

“Nelle parti successive del frammento lo sentiamo rimproverare la regina (a un certo punto la chiama anche ‘pute russe’ o ‘puttana dai capelli rossi’), che si è opposta al fatto che suo marito guidasse un esercito di soccorso verso sud”, ha detto Atkin in un’intervista al The Guardian.

Un pezzo di considerevole importante per gli studiosi dell’epoca, e per tutti gli altri forse un interessante nuovo roman le cui gesta epiche immaginare.

Dopo essermi chiesto se l’ebook supererà il libro cartaceo, i dati sembrano suggerire una risposta un po’ più precisa rispetto alle solite speculazioni nel caso.

La risposta la svela una ricerca della fondazione Openpolis.

Quanto leggono gli italiani

Almeno il 40,6% degli italiani ha letto almeno un libro nel 2018, un dato in calo, rispetto al 2007, di 2,5 punti percentuali.

La fascia d’età tra i 35 e i 54 anni è stata quella più colpita con un calo di ben 5 punti percentuali. 

Altro trend negativo, anche se più contenuto, è quello che si riscontra tra i minori, passati da quota 53,7% nel 2007 al 52,3% nel 2018. Una crescita si registra invece nella fascia 55-74, dove le persone ad aver letto almeno un libro in 12 mesi sono aumentate di quasi 5 punti percentuali in 10 anni.

Il ruolo degli ebook

Ho scoperto da questa indagine che più dell’8% di persone legge almeno un ebook all’anno, con una distribuzione diversa a seconda delle diverse zone d’Italia. “Vincono” le regioni del nord-ovest, tra parentesi, e la fascia d’età tra i 18 e i 34 anni.

Quindi, non parliamo certo di una preponderanza del mercato dell’e-book sul cartaceo, per la gioia degli analogici presenti in sala.

Bene ma non benissimo

Non parliamo certo di numeri confortanti soprattutto considerando i benefici inenarrabili della lettura. Parlo di narrativa, ma anche di saggistica. Non intendo solo evidenziare l’importanza di istruirsi sul mondo circostante, ma anche combattere l’analfabetismo funzionale, variare il proprio punto di vista, entrare in contatto con storia, culture, ma anche nozioni che possono tornare utili a livello di accrescimento personale e quindi anche, tangenzialmente, in senso carrieristico.

 

Un dato positivo è l’aumento probabile dell’1% dei lettori di libri, grazie al primo lockdown. Una tendenza che non sappiamo se si conserverà in futuro. 

Ma speriamo!

Una finanza alternativa fiorisce e prospera sempre all’arrivo di nuovi strumenti per l’erogazione del credito. È il caso dell’Equity e Lending crowdfunding, ovvero la ricerca di capitali o l’erogazione di crediti a privati e imprese con l’intermediazione di Internet.

I numeri del crowdinvesting

Ce lo racconta l’osservatorio Crowdfunding della School of Management del Polimi, che fotografa l’evolversi della situazione crowdinvesting dal 2016 a oggi:

  • 2016: 23 portali censiti da Consob (19 per l’equity e 4 per il lending), per un totale di 1,9 milioni erogati;
  • 2021: 79 portali, 953,4 milioni.

Parliamo comunque di finanziamenti legati all’andamento di una campagna, quindi un altro dato interessante che l’Osservatorio ci mostra è il successo del 76,3% delle 588 campagne lanciate su questi portali (al 2021).

Tra le piattaforme più attive abbiamo Mamacrowd, Fundera, CrowdFundMe, Walliance e Opstart. Però non va dimenticato che un posto di riguardo lo occupano le startup innovative, per cui il recente decreto rilancio ha stabilito  detrazioni fiscali per tutte le persone fisiche che scelgono di investire nel capitale di rischio di alcune startup innovative e PMI innovative.

L’attrattiva dei titoli italiani e stranieri

È importante, a questo punto, che le autorità italiane allineino con dei regolamenti la propria competitività con quella di altri Stati europei. Se ciò non viene fatto con le modalità e le tempistiche giuste, il rischio è che si verifichi un disallineamento tra portali italiani e competitor oltreconfine. Quindi, si parla di semplificazione delle procedure di autorizzazione, di adeguamento con la normativa europea, e infine di possibile dematerializzazione delle quote per attrarre nuovi capitali e investitori.

Il crowdinvesting è comunque un orizzonte interessante che vale la pena considerare per tutti coloro che si affacciano a strumenti di finanza alternativa con un impatto diretto sulle attività economiche emergenti.

Non è da me fare post così polemici, ma lasciatemi dire. Attorno a noi in questi giorni sono esplosi gli urli di tifo da stadio più belluini che io abbia mai sentito nella storia del calcio italiano.

Sebbene seguissi anch’io da ragazzo l’avventura di 11 uomini in pantaloncini di cui non specifico il colore di maglia, per non destare prese di posizione, è da tempo che non mi interesso più di calcio.

I motivi non ve li sto a elencare, ognuno ha i propri. Come me, molti altri individui all’affacciarsj dell’età adulta hanno calato l’attività della frequentazione dello stadio, o anche solo la menzione nelle conversazioni informali di fatti rilevanti inerenti al mondo sportivo.

Magari abbiamo iniziato a parlare più di Borse e di quotazioni dei giocatori, piuttosto che del batticuore suscitato dall’ultimo goal di Baggio.

Quindi, capisco l’intensità del tifo per gli Europei di calcio, come dicono in molti dettata in larga misura dalla fine della reclusione. Non credo che le persone per strada inneggianti all’Italia si fiondino per strada in auto a clacson spiegato per un motivo puramente liberatorio, ma lasciamo correre (fuor di metafora).

Però, dov’era questo entusiasmo per la riapertura dei teatri e delle attività culturali?

Perché non si riserva un sentimento di uguale trasporto anche alle vere nostre eccellenze, al nostro “dreamteam”, ovvero musei, cultura, letteratura e grande cinema?
Non pretendo che ci si appassioni all’opera, ma davvero l’unica cosa che fa scatenare questo volgo disperso è un pallone?
Certo, non è facile sentire fibrillazioni immediate con un film di Antonioni, e devo ammettere che i musei italiani in seguito alla riapertura, Uffizi di Firenze in primis ma non solo, hanno registrato dei boom di vendite.

Però vorrei rivolgere un appello a tutti coloro che hanno atteso questi Europei per sentire di nuovo il brivido dell’ evasione dalla realtà, il divertimento, la purezza della aggregazione:

Andatevi a godere le straordinarie bellezze della cultura attorno a voi!

Anche il teatro può creare aggregazione.
Forse la mia è una visione demodé, ma sono pur sempre figlio degli anni ‘70.
Lasciatevi consigliare da un “boomer”: andate più al museo, e meno allo stadio.

 

Leggere Don Chisciotte in spagnolo credo che sia un’esperienza che ancora mi è preclusa, anche se non escludo nei prossimi anni di imparare un po’ meglio questa versatile e affascinante lingua.

L’importante, quando si leggge Don Quixote, è non aspettarsi, chiaramente, lo spagnolo moderno.

Serve abituarsi allo stile, alle strutture delle frasi, ai giri di parole e al vocabolario sconosciuto. Per consenso comune il coronamento della letteratura spagnola, il Chisciotte è una lettura massiccia e impegnativa.

Ma il suo trattato sul potere della creatività e dell’individualismo ha ispirato l’arte, la letteratura, la cultura popolare e persino la rivoluzione politica. Don Chisciotte sostiene che la nostra immaginazione informa notevolmente le nostre azioni, rendendoci capaci di cambiare e, in effetti, rendendoci umani. Perché dovresti leggere “Cent’anni di solitudine”?

Così come Shakespeare non ha scritto in nessun genere, Don Chisciotte è sia tragedia che commedia.

Il nome. Il nome “La Mancha” deriva probabilmente dalla parola araba al-mansha, che significa “la terra secca” o “deserto”. La parola mancha in spagnolo significa letteralmente macchia, macchia o chiazza, ma non esiste alcun legame apparente tra questa parola e il nome della regione.

Don Chisciotte era pazzo?

Don Chisciotte, pensato dalla maggior parte dei personaggi del Don Chisciotte, è davvero pazzo, perché ha tutte le caratteristiche di un pazzo, come una serie di idee folli che lo fanno esporre sia se stesso che gli altri al pericolo. In realtà, Don Chisciotte non è mai troppo ostinato nel suo ottimismo di essere un cavaliere errante.

Molte sono le domande che sorgono in seguito o prima della lettura del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes.

Ho fatto un piccolo esercizio retorico, cercando di raggrupparne diverse e di dare a tutte una risposta.

Iniziamo proprio a un livello pop e comprensibile a tutti, sia chi ha studiato il cavaliere di Ronzinante a scuola, sia di chi l’ha approfondito per proprio interesse personale o accademico.

Don Chisciotte è un idealista o un realista?

Su quasi tutte le scale che gli altri hanno applicato a lui, Chisciotte è un idealista. Chisciotte è stato un militare e ha visto cose terribili. Sa bene che il mondo è generalmente duro e spietato – una posizione fondamentalmente realista.

Perché Don Chisciotte attacca i mulini a vento?

Don Chisciotte combatte i mulini a vento perché crede che siano dei giganti feroci. Pensa che dopo averli sconfitti – tutti “trenta o quaranta”! — potrà raccogliere il bottino e la gloria come cavaliere. Tuttavia, quando carica i “giganti”, la sua lancia si impiglia in una vela.

C’è un elemento di ironia in Don Chisciotte?

Il risultato è un’ironia drammatica, poiché noi siamo consapevoli dello scherzo mentre Don Chisciotte stesso non lo è. Questa ironia ci trascina più a fondo nel romanzo, confondendo ulteriormente la linea tra follia e sanità mentale, verità e menzogna.

Cosa significa essere Don Chisciotte?

Don Chisciotte (sostantivo) l’eroe di un romanzo di Cervantes; cavalleresco ma poco pratico. Don Chisciotte (sostantivo) qualsiasi idealista poco pratico (come l’eroe di Cervantes)

Qual è la tua interpretazione di Don Chisciotte?

Don Chisciotte è un gentiluomo di mezza età della regione della Mancia, nella Spagna centrale. Ossessionato dagli ideali cavallereschi propagandati nei libri che ha letto, decide di impugnare la lancia e la spada per difendere gli indifesi e distruggere i malvagi.

Cosa significa combattere contro i mulini a vento?

Inclinarsi ai mulini a vento significa combattere nemici immaginari. L’idioma “tilting at windmills” si trova per la prima volta nella lingua inglese negli anni 1640 come “… fight with the windmills…”. Il verbo tilting fu presto sostituito dalla parola fight. Il termine è tratto dal classico romanzo spagnolo Don Chisciotte di Miguel de Cervantes.